Estratto dell’articolo di Valentina Conte per "La Repubblica"
SALARIO MINIMO - IMMAGINE CREATA CON MIDJOURNEY 1
Nel 2021, l’anno della ripartenza dell’occupazione dopo il fermo imposto dalla pandemia, l’Istat ha contato 1,3 milioni di “posizioni lavorative”, cioè di contratti, con una retribuzione oraria inferiore a 7,79 euro lordi, un terzo più bassa di quella mediana pari a 11,69 euro. L’Istituto di statistica li classifica come “low pay jobs”, lavori da fame, pagati pochissimo.
Nel 2021 erano il 6,6% dei 19,5 milioni di contratti presi in esame da Istat: quelli del settore privato, escluso però il settore agricolo che avrebbe portato quella percentuale, superiore dello 0,6% al 2016 e in linea con il 2019, probabilmente ancora più su.
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I low pay jobs , continua Istat, si concentrano tra gli apprendisti (26% del totale), i giovani under 30 (12,3%), i contratti a tempo determinato (11,5%), i contratti siglati al Sud (10,9%). Ma anche tra quelli sottoscritti dalle donne (7,1%), più numerosi di quelli sottopagati degli uomini (6,2%). Il lavoro povero è più diffuso tra le posizioni di breve durata, ad esempio nel 16,6% dei contratti che durano meno di un mese, nell’11,5% di quelli tra uno e tre mesi e solo il 2,7% nei contratti annuali.
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Se si guarda a tutta la distribuzione dei contratti, divisi da Istat in decimi di retribuzione oraria dal primo 10% pagato meno all’ultimo 10% pagato di più, quindi da 8,32 euro lordi all’ora a 21,92 euro, si scopre che il 30% dei contratti non arriva ai 10 euro lordi orari.
Quasi un terzo. Un dato emerso durante il dibattito sul salario minimo, innescato dalla proposta di Pd, M5S, Avs per i 9 euro lordi all’ora, poi affossata in Parlamento dalla maggioranza, vista la contrarietà della premier Meloni. […]
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