Estratto dell’articolo di Alessandro Longo per "La Repubblica"
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Povere aziende italiane, sempre più colpite e affondate da attacchi cyber, compiuti da criminali che, per giunta, tendono a essere legati a regimi dittatoriali. Eppure, gli investimenti in sicurezza (cybersecurity) continuano a crescere, ormai a livelli record. È il paradosso dietro a due rapporti usciti a marzo: degli osservatori del Politecnico di Milano e dell’associazione italiana cybersecurity Clusit.
Colpisce ad esempio, secondo i dati Clusit del 2023, che siano aumentati del 65% gli attacchi che hanno provocato danni alle aziende italiane (sul 2022); l’aumento è invece “solo” del 12% su scala globale. Insomma, le aziende italiane stanno soffrendo molto di più delle altre. «I danni maggiori vengono dal blocco dei computer nell’azienda, ossia paralisi della produttività, per colpa del ransomware», spiega Claudio Telmon del Clusit.
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Sono software usati dai criminali per bloccare i computer delle vittime e poi chiedere un riscatto per lo sblocco; il ransomware tende anche a rubare i dati da quei computer, esponendo quindi le aziende a ulteriori danni, di proprietà intellettuale o reputazionale. Eppure le aziende italiane investono sempre più per proteggersi.
Secondo il rapporto 2024 degli osservatori del Politecnico di Milano nel 2023 il mercato italiano della cybersecurity ha raggiunto un record: 2,15 miliardi di euro, +16% rispetto al 2022. Il rapporto tra spesa in cybersecurity e pil in Italia si attesta allo 0,12%, contro lo 0,1% del 2022.
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Questo paradosso ha tante spiegazioni. Intanto, c’è da dire che nonostante l’aumento in spesa l’Italia è ancora all’ultimo posto nel G7: a grande distanza dai primi in classifica: Stati Uniti (0,34%) e Regno Unito (0,29%), ma anche da Francia o Germania (0,19%). Nel frattempo, le aziende e le pubbliche amministrazioni italiane continuano a digitalizzarsi: un processo inevitabile, per restare competitive ma che espone a rischi informatici crescenti.
[…] Per di più, «molti attacchi di cyber criminali sono fiancheggiati da regimi dittatoriali, per motivi di propaganda anti occidentale come fa la Russia; o a scopi di furto di proprietà intellettuale, com’è nel caso della Cina», spiega Telmon. Ci sono diversi rapporti dell’Fbi che provano la correlazione tra regimi e cybercrime, nonostante le smentite cinesi.
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A fronte di questo fenomeno, l’aumento di spesa dalle nostre in difesa è insufficiente; di fatto i numeri confermano il ritardo rispetto agli altri Paesi. Pesa anche che «il tessuto industriale italiano è basato sulle pmi. Per una piccola azienda è più difficile investire in modo adeguato in cybersecurity per motivi di economie di scala e di competenze interne difficili da avere», spiega Telmon. […]
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