Anna Zafesova per “la Stampa”
ZELENSKY E BRUNO VESPA
«Dateci la possibilità di portare via i morti e non uccidete i vivi»: Volodymyr Zelensky lancia quello che è forse l'ultimo tentativo di salvare i combattenti dentro l'Azovstal, e si rivolge ai politici europei che hanno ancora dei canali aperti a Mosca, che hanno la possibilità di venire ascoltati più di altri. Nonostante le accuse del battaglione Azov di essere stato «abbandonato» dai leader di Kiev, il presidente ucraino dice in un'intervista a Bruno Vespa di stare facendo «più del possibile» e che il suo governo «deve lottare per tutti, per ogni persona», coinvolgendo «voi come nostri partner, tutti quelli che possono essere sentiti dalla Federazione Russa».
ZELENSKY E BRUNO VESPA
Una finestra di dialogo che giorno dopo giorno appare sempre più stretta: Mosca ha già rifiutato di scambiare i prigionieri dell'acciaieria con i soldati russi caduti nelle mani degli ucraini, e anche l'offerta di metterli in salvo in un Paese terzo non sembra trovare riscontro, nonostante l'intervento del papa Francesco.
«Tutto dipende dalla posizione russa», continua a ripetere il leader della resistenza ucraina, che insiste ancora - come ha fatto fin dalla sua elezione alla presidenza, ormai più di tre anni fa - di desiderare un negoziato diretto con Vladimir Putin. Non soltanto su Azovstal e sulle sorti di Mariupol, ma su come fermare la guerra e iniziare a negoziare.
Una strada che appare sempre meno praticabile: «Noi siamo una società molto pacifica, volevamo una trattativa da otto anni», dall'annessione della Crimea e la guerra nel Donbass, dice Zelensky, che si dichiara ancora pronto a negoziare con Putin, ma «senza ultimatum».
ZELENSKY E BRUNO VESPA
Nell'intervista a Porta a Porta il presidente ucraino ha ammesso che gli spazi negoziali non sono molto ampi, e ogni giorno una porta nuova viene chiusa: «Ogni giorno i russi occupano villaggi, molti ucraini lasciano le loro case, vengono uccisi dai russi, vedo tracce di torture e uccisioni ovunque siamo passati».
E quindi, mentre gli ucraini respingono gli invasori fino al confine russo nella regione di Kharkiv, a Nord-est, il comandante supremo di Kiev ribadisce che l'unica condizione è che «i russi se ne devono andare, e devono rispondere di quello che hanno fatto». Il comando ucraino sta preparando la controffensiva anche nei territori occupati del sud-est, e l'ex comandante delle truppe Usa in Europa Ben Hodges ritiene che possono riuscire a respingere i russi alle posizioni precedenti al lancio della guerra «per la fine dell'estate».
ZELENSKY E BRUNO VESPA
È evidente che in questo momento nessuna delle due parti è interessata a fermarsi: gli ucraini vedo la possibilità di una vittoria, e Putin deve ritagliarsi almeno un territorio da spacciare come conquista. Zelensky avverte che non ci sarà alcun appeasement, e «non salveremo la faccia di Putin pagando con i nostri territori».
Nell'intervista a Bruno Vespa chiarisce anche l'equivoco sulla Crimea, dopo che alcuni media italiani gli avevano attribuito una dichiarazione sulla disponibilità a cederla: «Non la riconosceremo mai come parte della Federazione Russa». Il presidente ucraino ha ribadito quella che è la posizione negoziale del suo governo ormai da quasi due mesi: la questione della penisola annessa va "sospesa", congelata nell'impossibilità di risolverla, anche per 15 anni, in un negoziato lunghissimo.
PUTIN ZELENSKY
L'obiettivo di Kyiv per ora è riportare la situazione al 23 febbraio 2022, a un giorno prima della guerra, quando Putin non rispose di nuovo alla telefonata di un Zelensky che aveva tentato per l'ultima volta di impedire l'attacco. I territori occupati devono essere liberati, «quello che è stato saccheggiato deve essere restituito», e l'Ucraina deve «riavere la pace, riavere cose normalissime come il rispetto della sua sovranità e integrità, delle tradizioni e della lingua di un popolo».
putin zelensky
Mentre alcuni fedelissimi del Cremlino hanno provato a lanciare l'idea di un'annessione di Kherson, l'unico capoluogo regionale ucraino conquistato per ora dai russi, senza referendum o altri passaggi pseudolegali, il presidente ucraino prova a ripartire da quella che era stata la bozza di accordo che anche la delegazione russa era sembrata propensa ad accettare: una ritirata dei russi entro i confini al 23 febbraio, su tutto il resto - la sorte della Crimea e delle enclave del Donbass già controllate da Mosca dal 2014 - si dovrebbe aprire un lungo e lento negoziato che rimanderebbe la soluzione a un avvicendamento al Cremlino.-