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    IL GENE DELLA LAMPADA - NELLA SUA AUTOBIOGRAFIA, “COME LO FECI”, GENE WILDER RACCONTA GLI AMORI E LE FOLLIE DELLA SUA VITA - E DI COME MEL BROOKS LO SALVÒ DALLA DEPRESSIONE: “SENZA DI LUI SAREI RINCHIUSO IN UN OSPEDALE PSICHIATRICO”


     
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    GENE WILDER - COME LO FECI GENE WILDER - COME LO FECI

    Emanuela Martini per il “Sole 24 Ore” -Il Domenicale

     

    Nello scarno prologo della sua autobiografia (Come lo feci), Gene Wilder parla del “destino”; di come, se circumnavighi la fontana del Plaza di New York da destra piuttosto che da sinistra, la tua vita può cambiare radicalmente, a causa delle persone diverse nelle quali ti imbatti. E nelle pagine successive racconta alcuni di questi suoi incontri con «l’ironia della vita».

     

    Incontri indimenticabili, come tutti quelli con le donne che ha amato, anche le più folli, che Wilder rievoca con amore, gentilezza e rispetto; e incontri infausti e nevrotici, che tuttavia hanno condotto a una serie di circostanze fortunate. Come quello con Jerome Robbins, che nel 1963 lo diresse a Broadway in Madre Coraggio e i suoi figli di Brecht, dove l’attore, trentenne, interpretava il figlio della protagonista.

     

    gene wilder willy wonka gene wilder willy wonka

    mister pryor e gene wilder mister pryor e gene wilder

    Una parte sbagliata, un regista sbagliato, sottolinea Wilder, che comunque ringrazia Robbins, perché se non gli avesse assegnato quella parte non avrebbe mai incontrato Anne Bancroft (Madre Coraggio), né suo marito Mel Brooks: «E se non avessi incontrato Mel Brooks, probabilmente sarei rinchiuso in un ospedale neuropsichiatrico e guarderei il mondo attraverso le sbarre della finestra della stanza di terapia fisica, mentre confeziono portafogli».

     

    Tanto Wilder è educato e civile nella descrizione dei personaggi che lo hanno circondato (anche di primedonne bizzose e nevrotiche come Carol Channing o di guru intolleranti come Lee Strasberg), quanto è lucido nel racconto di se stesso, ragazzino ebreo ossessionato dall’arte (è anche un buon pittore), dalle ragazze e da un personalissimo Demone, del quale, come dei suoi rapporti con le donne, parla diffusamente nei dialoghi con la sua analista Margie, che fungono da interpunzione al racconto.

    mel brooks e gene wilder mel brooks e gene wilder

     

    Infatti, Wilder identifica con chiarezza le due forze che si combattono nel lavoro dell’attore, timidezza e insicurezza da una parte e narcisismo e bisogno di approvazione dall’altra: sapeva che sul palcoscenico sarebbe stato al sicuro. Attraversa i suoi ricordi, le malattie (sue, della sorella, della terza moglie Gilda Radner, la travolgente comica del Saturday Night Live), gli amori, le delusioni e i successi, con la consapevolezza quieta di aver avuto una buona vita e con l’ironia sottile di chi sa prendersi in giro e mantenere in equilibrio il proprio ego e quelli (altrettanto invadenti) degli altri.

     

    gene wilder in frankestein junior gene wilder in frankestein junior

    Al centro del racconto, naturalmente, c’è l’incontro con Mel Brooks, il primo che, nel 1968, gli dà una parte comica, Leo Bloom in Per favore non toccate le vecchiette, cui seguono Willi Wonka e la fabbrica del cioccolato di Mel Stuart, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso di Woody Allen, e, ancora di Brooks, Mezzogiorno e mezzo di fuoco e, nel 1974, Frankenstein Junior. “Young Frank”, come lo chiamava Brooks, nasce durante alcuni giorni di vacanza, quando Wilder scrive un canovaccio su un nipote di Frankenstein convocato in Transilvania; cresce quando il suo agente gli dice che vorrebbe fare un film con lui e altri due suoi clienti (Marty Feldman e Peter Boyle) e Wilder tratteggia il personaggio di Igor; matura quando Brooks, reduce dall’insuccesso di Il mistero delle dodici sedie, accetta di dirigere il film; si concretizza nel gioiello che è quando la 20th Century Fox mette a disposizione un budget di tre milioni di dollari.

     

    gene wilder 4 gene wilder 4

    Poi, naturalmente, i casi, le improvvisazioni (Igor che addenta la stola di pelliccia della fidanzata di Frankenstein), la cura dei dialoghi e dei dettagli, l’alchimia di un cast in stato di grazia, dove attori drammatici (come Peter Boyle, la Creatura, Cloris Leachman, Frau Blucher, e Gene Hackman, nella comparsata dell’eremita cieco) fanno tutt’uno con i comici Wilder e Feldman e con le commedianti Teri Garr e Madeline Kahn.

     

    Perfetto nei tempi, intelligente nella revisione del mito classico, arguto nel repentino ribaltamento del giovane Frankenstein che, nel laboratorio del nonno, abdica alla razionalità per lanciarsi nella sua sfida divina, surreale e imprevedibile, Frankenstein Juinior è un unicum che va al di là della semplice parodia, per trasformarsi in un viaggio lucido e affettuoso tra icone dell’immaginario che riemergono rafforzate dalla nuova lettura. Un atto d’amore per i vecchi mostri della Universal (e di Mary Shelley), una dimostrazione che, come urla il giovane scienziato: «Si può fare!».

    gene wilder gene wilder

     

    E a volte, dice Gene Wilder, la formula funziona anche nella vita. Lui, con onestà e humor, ci è riuscito, ha realizzato il desiderio espresso dal suo primo personaggio cinematografico importante, Leo Bloom che, correndo intorno alla fontana del Lincoln Center, urlava: «Voglio fare tutte le belle cose che si vedono nei film!».

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