Caterina Soffici per “la Stampa”
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Altro che Rinascimento. Trentaquattro anni per una serie di tweet. L'Arabia Saudita rimane un regime totalitario e spietato, dove i diritti umanitari sono calpestati e le voci di protesta silenziate nel modo più brutale. L'ultimo caso è quello di Salma el Shebab, 34 anni, due figli di 4 e 6, ricercatrice presso l'Università di Leeds, dove si stava specializzando in assistenza sanitaria. Condannata a 34 anni di carcere per avere un account di Twitter, con il quale ha seguito e ritwittato dissidenti e attivisti per i diritti umani e delle donne.
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Salma el Shebab era tornata nel suo paese per una vacanza e lì è stata arrestata. A rivelare la condanna inflitta alla donna dal tribunale saudita contro il terrorismo è stata l'organizzazione per i diritti umani Freedon Initiative, specializzata proprio nel monitoraggio della situazione nei paesi del Medio Oriente. È la condanna più dura mai inflitta a un'attivista che si occupa di diritti delle donne in Arabia. Salma dalla Gran Bretagna all'Arabia Saudita, dalla culla della democrazia moderna al medioevo feroce del regime autoritario di MbS, acronimo di Mohamed bin Salman, principe ereditario del regno saudita, che flirta con i leader occidentali, li paga perché parlino di Rinascimento, promette riforme, ma è e rimane un tiranno, riconosciuto mandante dell'omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, fermato a Istanbul, ucciso e fatto a pezzi, un'icona della lotta del mondo arabo per l'emancipazione dalle dittature.
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Sembra incredibile, eppure basta un volo di poche ore, un Londra-Riad, per fare un salto nel tempo all'indietro di secoli. In Gran Bretagna Salma era una giovane donna con diritti, sogni, un lavoro, un futuro. In Arabia è una criminale, accusata di un reato inesistente: possesso e uso di Twitter. Oggi scriviamo di lei, Salma el Shebab, un nome strano e lontano, come lo sono i nomi arabi che non ricordiamo e non sappiamo neppure pronunciare bene. Sa che cosa la aspetta, lo hanno raccontato le altre: scariche elettriche, frustate, privazione del sonno, minacce di morte e di stupro.
Lo sa perché prima di lei ci sono state centinaia di donne finite in carcere solo perché lottavano per il diritto a poter uscire per strada da sole, a non dover sottostare al volere di un padre o di un fratello, per liberarsi dell'odioso patriarcato, per mettersi alla guida di un'auto.
MATTEO RENZI – INTERVISTA CON BIN SALMAN
Aziza Yousef, Eman al Nafjan e Ruqayya Almuhareb: attiviste torturate e molestate nel carcere di Riad, arrestate per la loro attività in difesa dei diritti femminili. E poi ancora Loujain al Hatloul, Hatoon al Fassi e Samar Badawi: torturate in carcere perché volevano guidare. E poi ancora tanti altri nomi di donne che neanche conosciamo, e secondo Freedom Initiative gli arresti delle attiviste donne sono in aumento. Donne che dovremmo ringraziare una a una, noi qui al calduccio della nostra decadente democrazia, perché lottano per diritti che dovrebbero interessare a tutti. Perché niente è dato per scontato, come stiamo vedendo con l'aborto in America. Perché la reazione è sempre alle porte, pronta a balzarci addosso, quando appena abbassiamo la guardia, quando ci facciamo abbagliare dagli specchietti per le allodole, le riforme promesse, i ridicoli Rinascimenti sbandierati in favore di telecamera. Quando non pensiamo che le dittature e i regimi totalitari non sono poi così lontani, basta il tempo di un volo aereo e ce li ritroviamo in casa.-
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