Fulvia Caprara per la Stampa
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Stavolta si cimenta con il fantasy, dirigendo una commedia lieve e perbene, Volevo un figlio maschio, in cui gioca con i generi mettendo in scena la vicenda di un padre (Enrico Brignano) circondato da figlie femmine, ma desideroso di un erede con cui condividere passioni maschili come il calcio e le macchine sportive.
La verità, però, è che il cuore di Neri Parenti, regista dell'infinita saga cinematografica delle «vacanze», batte ancora per quell'epoca libera e sboccata, spensierata e caciarona, disinvolta e molto, ma molto, politicamente scorretta: «Ho girato 54 film, posso dire che, con l'ottica di oggi, almeno 53 non avrei potuti farli».
L'ultima creatura (il 5 nelle sale con Medusa) è soprattutto il segno di un'imprescindibile necessità di adeguamento: «I film di un tempo non si possono fare più. Il fantasy comico era un mio sogno, lo spunto di partenza viene da me stesso, ho tutti figli maschi, mentre mia moglie avrebbe voluto femmine».
Quali sono i film che ha fatto e adesso non potrebbe rifare?
«Per esempio tutto Fantozzi. Villaggio aveva una moglie brutta e una figlia che sembrava una scimmia. Tutte cose che oggi non potrebbero nemmeno essere immaginate. Ormai siamo alla follia».
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Perché?
«In questo film ho dovuto togliere la parola "ciccione" e sostituirla con "corpulento", per non incorrere in accuse di "body shaming". Sono cambiamenti imposti soprattutto dallo streaming, negli anni i film hanno avuto tanti padroni, prima erano i produttori, poi i distributori, poi gli esercenti, ora sono i proprietari delle piattaforme che impediscono l'uso di certi termini e poi, magari, su quella stessa rete, passa l'immagine di un bambino gettato nell'olio bollente. Posso capire certe necessità, le piattaforme si rivolgono a un mercato globale e sono costrette a fare un prodotto che vada bene per tutti. Il problema è che, con loro, non si può nemmeno discutere».
In che senso?
«Non c'è scambio, si comunica con mail in cui vengono date direttive e cui viene raccomandato di non rispondere. Era meglio litigare con Aurelio De Laurentiis, almeno si poteva provare a dimostrare di aver ragione, c'era un confronto, adesso manca proprio l'interlocutore. Direi che di Aurelio ho nostalgia, era stimolante, anche quando non andavamo d'accordo».
Perché oggi non è più pensabile un altro Vacanze a… ?
«A parte le scelte produttive, c'è il fatto che gli interpreti di quei film, che ne erano anche i capisaldi, oggi sono invecchiati. Da puttanieri… si sono trasformati in nonni e quindi certe storie non si possono più raccontare. Si è tentato un ricambio, che, però, ha dato risultati fallimentari. E poi nel periodo del loro massimo splendore i social non esistevano e questo ha mutato tutto».
Come mai?
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«I social hanno modificato la tipologia di spettatore cinematografico, a vedere i cinepanettoni venivano soprattutto i ragazzi, erano loro gli artefici dei grandi incassi. Adesso i ragazzi comunicano in altro modo e al cinema non vanno più».
Se dovesse girare oggi un film vacanziero, che farebbe?
«I cinepanettoni erano ancorati a un certo clima euforico, oggi racconterei la storia di una vacanza, magari di quelle fai da te, in cui tutto va male, la casa affittata non esiste, l'aereo non parte. Il titolo potrebbe essere "vacanze da schifo"».
Girare un film comico è diventata un'impresa.
«E' il genere che ho sempre praticato e quindi mi dispiace, ma è così. I film comici non si fanno, guardi Zalone, non li gira più nemmeno lui. Pesa anche la sparizione del dialetto, dovuta sempre a quel legame con le piattaforme, non è più immaginabile una storia in cui ci siano contrapposizioni tra napoletani, milanesi, romani, tutti con le proprie caratteristiche e il proprio modo di parlare».
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L'accusa più reiterata era che, nei cinepanettoni, ci fossero troppe parolacce. Vero?
«Un po' sì, una volta Beppe Severgnini, andò a vedere un cinepanettone e contò le parolacce. Erano tantissime, aveva ragione. Un po' le scrivevamo noi nelle sceneggiature, un po' le aggiungevano gli attori, e poi dipendeva dai personaggi. Negli Anni 90 Christian De Sica faceva spesso l'imbroglione "parolacciaro", adesso fa il nonno, non potrebbe certo rivolgersi ai nipotini usando il turpiloquio».
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La politica è da sempre oggetto di satira. Che cosa la fa più ridere dei politici di oggi?
«I politici fanno ridere, devo dire la verità. In Volevo un figlio maschio succede che, per magia, il protagonista si ritrovi padre di tre figli maschi. Ecco, se devo immaginare un incantesimo, penso a cosa potrebbe accadere se, da un giorno all'altro, la Schlein si trovasse al posto della Meloni». Quale sarebbe il primo cambiamento? «Sparirebbe Pino Insegno, tornerebbe Flavio Insinna».
Qual è il suo titolo preferito nella saga delle vacanze?
«Di sicuro Vacanze sul Nilo . Un po' perché sono appassionato di Egitto, un po' perché l'avventura è sempre stato il mio genere preferito e lì c'era, anche se non avevo Harrison Ford. C'era Boldi...ma ringiovanirlo costava troppo, meglio fargli fare la plastica facciale».
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