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    “RAFFAELLA RIUSCIVA A DARE UN SENSO DI LEGGEREZZA A TUTTO QUANTO” - NESSUNO CONOSCEVA IL CORPO DI RAFFAELLA CARRÀ COME GABRIELE MAYER, IL SARTO E COSTUMISTA CHE L’HA VESTITA PER 50 ANNI: “COSA LE DAVA FASTIDIO? SE C’ERA UN PO’ DI SPALLA SCESA LA AGGIUSTAVAMO CON LE SPALLINE. I COLORI? QUELLI CHE NON VOLEVA ERANO IL VIOLA E IL VERDE. QUANDO SI VESTIVA ERA UNA SPECIE DI TORERO. ERA UN RITO. PRIMA DOVEVA RILASSARSI, POI DUE MINUTI IN BAGNO, ARRIVAVA COL VESTITO CON LA LAMPO APERTA, LA MEDAGLIETTA SULLA CALZA CONTENITRICE, PERCHÉ ERA MOLTO RELIGIOSA E…” - VIDEO


     
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    Marco Giusti per Dagospia

     

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    Nessuno conosce il corpo di Raffaella Carrà come Gabriele Mayer, che l’ha vestita, sia da sarto che da costumista, ininterrottamente per oltre cinquant’anni, diciamo da “Ciao Rudy” agli ultimi show televisivi, realizzando tutti i suoi vestiti per le varie edizioni di “Fantastico”, Canzonissima”, “Pronto, Raffaella?”, sia i suoi sia quelli ideati da Corrado Colabucci e Luca Sabatelli, due dei suoi costumisti storici. Perfino per l’omaggio che Penelope Cruz ha dedicato a Raffaella nel nuovo film di Emanuele Crialese, “L’immensità”, ambientato nella Roma degli anni ’70, è stato chiamato Gabriele Mayer per la realizzazione dei “nuovi” vestiti della Carrà disegnati da Massimo Cantini Parrini.

     

     

    Già assistente di Piero Gherardi fin dai tempi de “La dolce vita”, “Otto e mezzo”, “Giulietta degli spiriti”, “L’armata Brancaleone”, Gabriele Mayer, fin da giovanissimo, ha diretto la sartoria ereditata dal padre, trovandosi a realizzare centinaia di costumi per il cinema, il teatro, l’opera. Specializzandosi però nella vestizione delle star, Sophia Loren, che ha vestito fino all’ultimo film, Ursula Andress, incontrata ai tempi di “La decima vittima”, Claudia Cardinale, Mariangela Melato, per Gabriele è stato naturale l’incontro con le stelle delle tv come Renato Zero e Raffaella Carrà.

     

    Da quanti anni vesti e segui Raffaella?

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    Io l’ho conosciuta durante lo spettacolo del Sistina “Ciao Rudy” nel 1965. Da lì comincio a vestirla come sarto. Lo specifico perché il mio lavoro è quello della sartoria. Direttore della sartoria. Poi ci siamo ritrovati in un film della serie di “Arsenio Lupin” con Georges Descrières del 1971, dove l’ho vestita come costumista reperendo i costumi anche da Tirelli.

     

    E da lì cosa scatta?

    Scatta una simpatia, una empatia che poi, ritrovandoci in televisione con il primo “Fantastico”, si è trasformata in un vero rapporto di stima, di fiducia da parte sua nei miei confronti, per cui, da allora in poi, la mia era l’unica sartoria che poteva realizzare i suoi costumi.

     

    Sapevi quindi tutto del corpo e della mente di Raffaella?

    La sua prerogativa, non la principale, perché ne ha avute tante altre, era di avere un team di persone delle quali potesse fidarsi. Quindi come me, c’erano anche il suo parrucchiere, il suo truccatore, il suo coreografo, tutte persone che le davano sicurezza nell’ottenere il top che voleva.

     

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    Le idee su come vestirsi, erano tue, dei suoi altri costumisti o anche sue?

    Penso che su un corpo un costumista deve lavorare non per migliorare, ma per esaltare quel corpo. Questo è il lavoro che fa un costumista, soprattutto nei confronti di una star, di una soubrette, di una persona che sta in televisione e deve attirare l’attenzione del pubblico. Per cui va fatta attenzione nella ricerca delle cose che possono starle meglio, ripeto, non per modificare, ma per esaltare la persona. Evitando tutto quello che esteticamente possa darle fastidio.

     

    Esempio?

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    Che ne so, cosa poteva avere Raffaella? Un po’ di spalla scesa, di spalla non proporzionata al suo corpo? In certi casi la moda ci ha aiutato, e abbiamo messo le spalline, ma forse erano eccessive e piano piano sono state diminuite. C’è stata sempre quell’attenzione al fatto che anche il minimo dubbio che lei potesse avere sul suo corpo dovesse essere aiutato.

     

    Sulle gambe hai lavorato?

    Una gamba è quella che è. Bisogna però cercare di allungarla, con una calza che arrotondi la gamba, faccia un’ombra, ci sono tanti piccole accorgimenti…

     

    I suoi punti forti quali erano rispetto ai costumi?

    Ma sai, i suoi punti forti erano questi vestiti che potevano avere delle difficoltà a essere portati normalmente, e che lei invece portava come se fossero dei costumi da bagno. Nel senso che non dava peso all’importanza del costume. Veniva fuori una persona che poteva anche indossare un costume pesantissimo ma comunque saltava e ballava. E riusciva a farlo. Questo dava un senso di leggerezza a tutto quanto.

     

     

    Negli anni poi sarà cambiata fisicamente…

    Devo dire che durante gli anni che ci siamo conosciuti, da stagione a stagione, da anno a anno, quando si cambiavano i costumi ci chiedeva, proprio all’inizio: Come sono cambiata? E io constatavo che le sue misure invece erano sempre le stesse. Per cui sì c’è stato un periodo che sarà stata tre centimetri in più di vita. Da 64 a 67… non è che fosse un dramma. Poi, quando cominciava uno spettacolo, iniziava un mese prima con la dieta e la palestra. E ha sempre ballato, per cui le sue tre quattro ore di mattina a fare ballo c’erano. Ogni giorno. Era una stakanovista.

     

    Hai detto che quando si vestiva era una specie di torero.

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    Beh, sì. Io l’ho sempre detto, si veste come un torero. La vestizione prima dello spettacolo, prima di andare in televisione, per lei era un rito. Prima doveva rilassarsi, un quarto d’ora di riposo mentale, in maniera che inquadrava la trasmissione, cercando tutti i suoi punti. Due minuti in bagno, arrivava vestita, la sua medaglietta sulla calza contenitrice, perché era molto religiosa. Si arrivava col vestito la lampo aperta, la lampo delle maniche aperte, in maniera che tutto fosse semplice da mettere e nel caso doveva capire anche come toglierselo, perché magari avrebbe dovuto cambiarlo di corsa durante la trasmissione. Già sapeva che quel vestito aveva delle situazioni particolari. E io ero con lei.

     

    Era motivata?

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    Motivata e concentrata, tanto è vero che tutti noi eravamo nel silenzio più assoluto. Giusto dire sì, guarda ti sto mettendo la scarpa o dammi il piede, non c’era mai un’interruzione.

     

    Quali erano i suoi colori, quelli che secondo lei o secondo voi le stavano meglio?

    Lei ha sempre amato il rosso, il bianco, il nero. Ma amava anche il blu. C’è stato un periodo che ha amato anche il fucsia, magari il rosa shocking, alcune volte il giallo. Quello che non voleva era il viola, assolutamente no, un altro colore che evitava era il verde.

     

    Per quanto riguarda le stoffe, i tessuti…

    Noi costumisti consigliavamo assolutamente di adoperare delle stoffe morbide, leggere, che si adeguavano al corpo, che non ingombrassero. Questa è una cosa che un costumista fa normalmente. Cerca di alleggerire il corpo senza dare spessori oltre quelli che servono.

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    Rispetto ai suoi costumisti più celebri, Corrado Colabucci e Luca Sabatelli, oltre a te, che differenze trovavi?

    Ognuno di questi costumisti, compreso me, ha avuto un carattere personale. Io adesso, dopo tanti anni, nel vedere i lavori fatti da l’uno piuttosto che dall’altro capisco meglio le diverse personalità, ma comunque, in fondo, esce sempre Raffaella… nel senso che quello che il costumista può aver variato è il tipo di gusto da applicare su quell’icona. Qualcuno l’ha fatta più signora. Sabatelli l’ha fatta più moda, fashion, ma era comunque sempre e solo lei.

     

    Più sexy chi l’ha fatta?

    Tutti quanti l’abbiamo fatta sexy, dal momento che c’era da fare un costume da balletto, più o meno siamo riusciti tutti a renderla sexy. Io feci per lei un balletto tutto su un treno, “Starlight Express”, dove era un po’ punk…

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    Quali sono gli abiti più iconici di Raffaella?

    Uno di cui ci si ricorda bene è l’abito bianco con le maniche fatte a benda, a fasce. Quella era di Ruffini, mi pare. Ce n’è uno che non si vede tanto nei giornali, perché lei lo ha adoperato sia in Italia che all’estero… lo facemmo anche con Sabatelli in quegli spettacoli che faceva all’estero, in Spagna, in Brasile

     

    Era un vestito che cambiava colore. Cominciava dal nero e poi si toglieva la gonna e diventava rosso, da rosso diventava bianco… Quello secondo me era un vestito abbastanza teatrale, da rivista, e per me era abbastanza inventato. Quello lo ha fatto una volta Sabatelli una volta l’ha rivisto Colabucci.

    Famoso è quello di “Fiesta” di Sabatelli, quello rosso, quella della statutta di Raffaella.

     

    Fra quelli tuoi, a quale sei più affezionato?

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    Io le feci un costume ispirato a quello di Bob Mackie, che faceva costumi strepitosi da spettacolo di rivista, c’era una calza a rete trasparente, un body quasi trasparente, ricamato di rosso con tutte fiamme. Poi ne feci un altro con delle lingue rosa, argento e nere con quel criterio lì, ma ad abito. Le lingue finivano come una gonna più o meno lunga.

     

    Quando fa in tv Pronto, Raffaella?” nelle stagione ’84-’85 e ’85-’86, tu la vesti tutti i giorni per quanto tempo?

    Erano 180 giorni all’anno… Di base c’erano i cinque vestiti della settimane, poi aveva una due canzoni a settimana, da due a tre balletti. Quindi, diciamo dieci vestiti a settimane. Fate il conto per 180 giorni…

     

    In tutto quante ne avrai realizzati?

    Una quantità industriale. Tra i miei e quelli degli altri costumisti. Diciamo tutti.

     

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    Lei com’era, voleva sperimentare cose nuove o tendeva alla ripetizione?

    Ogni tanto veniva fuori dicendoci di cambiare qualcosa. Di solito quello che ci veniva proposto era di dare un po’ un’impostazione, di trovare una formula. Soprattutto per gli abiti da balletto che seguivano sempre la cosa del body. Sabatelli, ad esempio, per “A far l’amore da Trieste in giù”, ha disegnato il maglione di Zizi Jean Marie, non perché la si volesse emulare, non c’era questa intenzione, era solo la necessità di variare.

     

    E si fidava molto di voi?

    Assolutamente. La fiducia ce l’ha data col fatto che ha sempre richiamato tutti. Sia Corrado Colabucci, che per un periodo non ha fatto più i suoi costumi. Sia Sabatelli, che per un po’ non ha fatto i costumi e poi lo ha richiamato. Io però sono sempre stato lì con lei.

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    Lei metteva bocca sui vostri abiti?

    Alcune volte sì… L’abitudine di me sarto era anche quella di portare l’abito in prova, a quell’epoca si provavano i costumi, non come adesso, così mi portava avanti in modo che, anche a variarli al volo, se ce n’era bisogno, si faceva in fretta.

     

    Tu hai vestito le più grande star del cinema, Sophia Loren, Ursula Andress, la Cardinale, Romy Schneider. Lei cosa aveva di diverso rispetto a loro?

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    Lei è sempre stata vestita in maniera che fosse Raffaella Carrà, mentre nel cinema ognuna di queste dive doveva vestire un personaggio. Lì entrava un’esigenza di soluzione del personaggio del film, del racconto. Anche quando c’era un balletto particolare, lei era sempre Raffaella. Mentre vestendo un’attrice, pensiamo a la Cardinale nella Ragazza di Bube, lei era quel personaggio là, con le sue esigenze. Ne Le fate era una zingara, vestita da Piero Gherardi.

     

    Nel passaggio dal bianco e nero al colore in tv?

    Nel cinema c’era un problema tecnico, che il bianco sparava e quindi invece del bianco si adoperava il grigio perla o il giallo, ma ti parlo degli anni 50 e 60. Allora non si adoperava proprio il nero perché era troppo fondo, non si vedevano i volumi quindi si adoperava il blu scuro. E il risultato era nero, ma col colore in televisione non c’è stato nessun cambiamento col tempo del bianco e nero.

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    Rispetto a Zero, che è un’altra grande star della tv che ha vestito e vesti tuttora, che differenza c’era? E’ più esigente?

    Non posso parlare di esigenza. Mentre con Raffaella uno poteva mettere il suo stile, con Renato la cosa era diversa, perché si deve trovare un collegamento estetico con la sua immagine. Lui veniva da me, dicendomi: ho queste canzoni, però vorrei che fossi vestito con un frac, un tight, una tunica.., A quel punto, con queste indicazioni, io andavo e mi cercavo delle idee un po’ surrealiste, dove potevano essere prese e annotate delle cose che facevano subito la particolarità di quel determinato pezzo, di quella canzone. Questa è stata la mia ricerca su Renato.

     

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    Per cui non trovo tanta differenza. Forse perché sono abituato a trovare attorno a una persona le cose che gli stanno meglio. Se tu mi dovessi chiedere quale cosa mi sta meglio io dovrei trovare la formula per aiutarti a sentirti meglio. E’ un’abitudine che mi è venuta dal teatro, dallo spettacolo. Un attore deve sentirsi comodo nella vestizione per il personaggio che fa. Quando un attore mi dice: io in questo vestito non mi ci sento perché c’è una cosa che mi disturba, c’è qualcosa che contraddice quel che sto facendo, io devo aiutarlo. Magari prima dell’esibizione. Dopo devo solo migliorare il tiro.

     

    Avendo cominciato nel 1965 e avendola vestita fino a una decina d’anni fa, negli anni era cambiato il rapporto che aveva con gli abiti?

    E’ rimasto uguale. Quando incontri queste personalità, perché sono personalità precise e hanno un loro percorso, ti accorgi subito che non hanno dubbi. A volte, quando mi trovo con certe attrici del teatro o del cinema che hanno dei dubbi sui loro corpi, io mi meraviglio perché avendo lavorato sempre con delle personalità forti come Mariangela Melato o le Kessler… loro sanno quello che vogliono.

     

     

    Se tu porti un bozzetto, loro sanno che entreranno in quel personaggio. Quando c’è un’attrice che non sa come vestirsi perché magari preferisce un certo tailleur ma non sa dire come è, c’è il vuoto… Invece lei era molto sicura. E anche Renato, anche le Kessler. Ricordo Romy Schneider. Io l’ho vestita una volta e mi è bastato. Era una che aveva dei dubbi per come potesse essere usata dal suo regista, ma non certo su come potesse essere vestita.

     

    Hai vestito anche Mina…

    Mina era Mina che si faceva vestire. In quel caso poi c’era Piero Gherardi dietro, come dire una fiducia bendata… non c’era nessun dubbio, E infatti i caroselli di Mina sono quelli di Gherardi. Gli altri non te li ricordi. Anche se è stata vestita da firme illustri. In quel caso era la moda applicata a lei. Con Gherardi invece lei era diventata moda, in un certo senso. Se li vedi oggi quei vestiti, ho delle fotografie bellissime, sono ancora di moda oggi…

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    Perché pensi sia diventata un’icona così duratura, oltre ogni aspettativa…

    Sai, c’è stata una cosa che lei ha dato. Ha dato simpatia, senso dell’amore, e non è mai stata competitiva, semmai sono le altre che hanno voluto sentirsi in competizione con lei. Ma lei non è voluta mai entrata in competizione con nessuna di loro. E’ stata una che ha portato avanti un discorso di capacità, di bravura. Reputo il suo lavoro di talento, perché per arrivare a quella sua formula ci vuole un grande talento. Poi, dicono… non sa ballare… non sa cantare… Non è vero. Le ha fatte le cose, e anche bene. E anche in maniera spiritosa, la rivediamo adesso in tv. Penso che questi pseudo-colti l’abbiano giudicata anche troppo. Lei era lei.

     

    Perché pensi sia stata così importante per la comunità gay?

     

    Lei ha creato un simbolo di donna, bella, elegante, ricca come immagine, senza dare peso a una cosa o all’altra, non è mai stata contro qualcuno o qualcosa, non si è mai portato questi pesi sulle spalle. Un omosessuale cosa può vedere, amare in una persona così? La stravaganza, la libertà di esporsi. Perché non doveva essere amata? Lo era. Ma non solo dagli omosessuali. Dalle donne, dagli uomini, perfino dai bambini.  

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