Roberta Spinelli per "La Verità"
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Le abbiamo cercate e spesso odiate. Quest'anno sono entrate a far parte del paniere di beni e servizi di largo consumo usato dall'Istat per calcolare l'inflazione. Sono indispensabili, e chissà ancora per quanto tempo saremo obbligati a portarle visto il prolungarsi dello stato di emergenza, ma sono anche l'oggetto che più spaventa chi ha a cuore la tutela ambientale.
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Le mascherine chirurgiche disperse nell'ambiente sono diventate il nuovo ecopericolo, l'incubo dei pasdaran verdi. Sono fatte di materiali plastici, e già questo è un bel paradosso: in questa pandemia, ci ha in parte salvato la vita proprio la vituperata plastica, quella che da anni si cerca di eliminare e di riciclare nella raccolta differenziata dei rifiuti per non disperderla nell'ambiente.
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Mascherine e relativi imballaggi, guanti monouso, bottigliette di gel igienizzante: tutti materiali plastici. Ma nessuno, né al governo né nelle varie strutture commissariali, ha pensato di organizzare una raccolta differenziata delle mascherine e un corretto smaltimento.
Così i dispositivi ora vanno ad accumularsi nelle discariche creando un problema ambientale dopo aver aiutato a frenare i contagi da Covid.
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Problemi ambientali
Non esiste un rapporto ufficiale su quanti di questi dispositivi individuali vengano smaltiti. Si stima un uso mensile di 129 miliardi di mascherine di protezione (3 milioni al minuto) in tutto il mondo.
Il Wwf Italia calcola addirittura 7 miliardi di dispositivi al giorno, 210 miliardi al mese. Il continente europeo ne consumerebbe circa 900 milioni al giorno. Considerando che una mascherina chirurgica pesa sui 3 grammi, nella sola Ue ogni giorno 2.600 tonnellate di mascherine finiscono tra i rifiuti o disperse nell'ambiente.
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Ne esistono in commercio anche di più pesanti, come le Ffp2 e 3. In Italia l'Ispra ha stimato un consumo di mascherine pari a circa 1 miliardo al mese per 3.000 tonnellate di rifiuti aggiuntivi.
Solo alle scuole, ad esempio, la struttura del commissario straordinario per l'emergenza ne fornisce 11 milioni al giorno per docenti e studenti. Sempre l'Ispra ha calcolato che nel 2020 ci sono stati tra 160.000 e 440.000 tonnellate di rifiuti aggiuntivi da dispositivi di protezione individuale usa e getta.
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Se anche solo l'1% delle mascherine usate in un mese fosse disperso nell'ambiente, deliberatamente o accidentalmente, ciò significherebbe 10 milioni di pezzi. Una vera emergenza. Le quantità sono enormi. Ma le mascherine, realizzate in plastica, vengono gettate tra i rifiuti indifferenziati. Come mai?
Il governo ha seguito le linee guida dell'Istituto superiore di sanità, che le equipara ai comuni scarti domestici. Il Rapporto Iss Covid-19 numero 26/2020 fornisce indicazioni precise, raccomandando «di smaltire mascherine e guanti monouso, come anche la carta per usi igienici e domestici (ad esempio fazzoletti, tovaglioli, carta in rotoli) nei rifiuti indifferenziati».
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Il loro destino è dunque la discarica o l'incenerimento (quando non vengono dispersi nell'ambiente), nonostante che, mediante un ciclo di sanificazione e lavorazione, questi materiali potrebbero trasformarsi in risorse da riciclare.
Il Wwf ricorda che le mascherine monouso, realizzate in diversi strati di fibre di plastica, non sono biodegradabili. Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia fa presente che, anche per la loro forma, se esposte agli agenti atmosferici le mascherine si frammentano in micro e nanoplastiche, che si disperdono nell'aria entrando nella catena alimentare, con potenziali conseguenze negative anche per la salute umana.
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Al pari di altri detriti di plastica, possono accumulare e rilasciare sostanze chimiche nocive, metalli pesanti, così come microrganismi patogeni.
Le microparticelle
Le mascherine monouso, diventate il simbolo della lotta alla pandemia, oltre ad avere invaso le nostre vite rischiano di invadere il pianeta. È davvero sconcertante che, nel dilagare della sensibilità green in tutto il mondo, né il governo guidato da Giuseppe Conte né quello di Mario Draghi abbiano pensato a recuperare guanti e mascherine usa e getta.
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Nel decreto Rilancio del 19 maggio 2020, convertito in legge il successivo 17 luglio, l'articolo 229-bis prevedeva un fondo per uso e riciclo dei dispositivi di protezione individuale con dotazione di 1 milione di euro per l'anno 2020, da ripartire con un successivo decreto del ministero dell'Ambiente.
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Il finanziamento doveva aiutare gli interventi di recupero e riciclo. Una somma poco più che simbolica, che però è finita per realizzare alcune campagne di sensibilizzazione volute dal ministero dell'Ambiente in collaborazione con la guardia costiera, l'Ispra, l'Enea, tra cui quella intitolata «Alla natura non servono» e con l'attore Enrico Brignano come testimonial il quale invitava a non abbandonare la mascherina in mare ma, appunto, a conferirle nell'indifferenziata. Nessun incentivo, invece, a studiare un ciclo sostenibile di corretto smaltimento.
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Anche l'Unione europea ha lanciato un allarme rimasto inascoltato. L'Agenzia europea per l'ambiente ha diffuso un rapporto lo scorso 22 giugno («Impatto del Covid 19 sulle plastiche monouso e l'ambiente in Europa) in cui si dice che l'aumento dell'uso di maschere e guanti ha avuto enorme impatto sull'ambiente: estrazione delle risorse, produzione, trasporto, gestione e abbandono dei rifiuti.
La fase produttiva è per lo più extraeuropea, mentre al nostro continente spetta la gestione dei rifiuti. Per le mascherine monouso, il 63% dell'impatto ambientale è legato alla produzione e il 37% all'incenerimento. Oggi possiamo dire che il danno è perfino doppio per la perdita di altre potenziali risorse.
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Altri soldi persi
Il 15 ottobre scorso il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato sette bandi con i fondi del Pnrr dedicati all'economia circolare, cioè al recupero dei materiali scartati. Si tratta di 2,6 miliardi di euro complessivi, dei quali 600 milioni sono destinati alle filiere di carta e cartone, plastiche, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e tessili.
In sostanza, una quota consistente del Pnrr andrà a potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento e riciclo per una serie di materiali ben individuati. Ma le mascherine chirurgiche, in quanto rifiuti indifferenziati, ne sono escluse. E continueranno a inquinare.