benjamin netanyahu discorso congresso usa
(ANSA) Il "peggiore" discorso al Congresso pronunciato da un leader straniero. Così l'ex speaker della Camera Nancy Pelosi commenta l'intervento del premier israeliano Benyamin Netanyahu. "Le famiglie" degli ostaggi "vogliono un cessate il fuoco per riportarli a casa e noi ci auguriamo che il premier spenda il suo tempo a centrare questo obiettivo", ha detto Pelosi. (ANSA).
IL DISCORSO DI NETANYAHU
Giuseppe Sarcina per corriere.it - Estratti
Al culmine del suo discorso, dopo aver liquidato come «utili idioti dell’Iran» i circa cinquemila manifestanti pro Palestina assiepati intorno a Capitol Hill e davanti all’Union Station, Benjamin Netanyahu si paragona a Winston Churchill.
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Nell’«ora più buia» della Seconda Guerra Mondiale, il premier britannico si rivolse così agli americani: «Dateci i mezzi e noi finiremo il lavoro». Il primo ministro israeliano offre la sua versione: «Dateci più velocemente i mezzi e noi finiremo più velocemente il lavoro».
I destinatari dell’appello, i senatori e i deputati del Congresso, scattano in piedi, applaudendo con convinzione.
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Certo tutta l’ala sinistra del partito democratico ha disertato per protesta, così come l’ex Speaker della Camera, Nancy Pelosi. Assente anche Kamala Harris, che ha fatto sapere di avere «impegni inderogabili». Anche loro «utili idioti dell’Iran»? Netanyahu, naturalmente, glissa, così come ignora tutti i contrasti con la Casa Bianca che hanno segnato gli ultimi mesi o le proteste in corso anche ieri a Tel Aviv.
Lo schema del leader israeliano è un altro. In una scenografia curata nei dettagli, con l’ostaggio simbolo in tribuna, la giovane Noa Argamani, Netanyahu si presenta come la trincea più avanzata di uno scontro epocale «tra la barbarie e la civiltà», tra chi «semina la morte» e chi «difende la vita». Il perno decisivo resta l’alleanza con gli Stati Uniti: «Amici, se volete ricordare una sola cosa del mio discorso, allora prendete nota di questo: i nostri nemici, sono i vostri nemici. La nostra battaglia è la vostra battaglia. E la nostra vittoria sarà la nostra vittoria».
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Un concetto declinato in tanti modi, per quasi sessanta minuti. Ora con accenti più retorici, «la nostra alleanza durerà per sempre», ora con toni più pragmatici, «non stiamo combattendo solo per noi, ci stiamo battendo anche per voi». Sì, perché il «nemico comune» vuole distruggere Israele, ma minaccia anche gli Stati Uniti. Il promotore di questa trama è l’Iran, tutto «il male», tutta «la violenza» porta a Teheran.
Netanyahu non vede sfumature, non vede possibilità di dialogo con gli ayatollah. Non accenna ai negoziati in corso in Qatar e in Egitto per arrivare al cessate il fuoco a Gaza e alla liberazione degli ostaggi. Non accorda alcuna credibilità all’idea, diffusa anche tra gli analisti americani, che in realtà gli iraniani non stiano cercando lo scontro frontale nè con Israele nè, tanto meno, con gli Usa.
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Netanyahu vuole la resa dei conti finale con l’Iran? Il premier israeliano, abilmente, non approda a quella che sarebbe la logica conclusione della sua orazione. Chiede velocemente più armi per sradicare l’apparato militare di Hamas e, sarà necessario, per annientare gli Hezbollah in Libano o gli Houthi nello Yemen. Nei prossimi mesi ha bisogno di questo, sia che continuino a governare i democratici, sia che subentrino i repubblicani. Eccolo allora «ringraziare» per tre volte Joe Biden «per il suo sostegno», per «aver messo insieme la coalizione che nell’aprile scorso respinse l’attacco missilistico iraniano».
proteste contro netanyahu a capitol hill
Ma c’è gratitudine anche per Donald Trump, che dalla Casa Bianca, favorì la firma degli «Accordi di Abramo» con Emirati Arabi, Barhein, Marocco, Sudan. Adesso potrebbe ripartire quel processo, coinvolgendo anche l’Arabia Saudita. Sempre con l’obiettivo di consolidare un blocco anti-Iran: «potremmo chiamarla l’Alleanza di Abramo», suggerisce Netanyahu. E i palestinesi? Nella «visione» di «Bibi», «un giorno potranno amministrare anche Gaza». Ma nel breve periodo la Striscia sarà controllata dai militari israeliani, fino a quando non «sarà demilitarizzata e de radicalizzata».
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