Andrea Sorrentino per il Messaggero
Se esiste un manifesto vivente del meraviglioso successo delle ibridazioni e delle contaminazioni umane, o dell' integrazione se volessimo buttarla in politica, ha un (doppio) nome e un cognome: David Olatukunbo Alaba.
ALABA
Austriaco nato a Vienna il 24 giugno di 29 anni fa, da padre nigeriano e mamma filippina, è uno dei dieci migliori giocatori d' Europa, è mancino, ha giocato in tutti i ruoli tranne che in porta, e stasera capita sulla strada dell' Italia. Purtroppo, visto che non ha mai perso un confronto in Champions contro un' italiana, anzi ha battuto la Juve già tre volte, due volte su due Lazio e Roma con goleade, una volta il Napoli. Se gli chiedete conto del prisma di culture che rappresenta e che lo attraversano, vi risponderà tutto contento: dalla mia parte africana ho ereditato l' ambizione e la forza di volontà, da quella filippina la creatività, da quella austriaca la disciplina.
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In effetti vallo a scalfire, uno così. E se ci provi, ti arriva addosso con gran fragore il crepitio metallico dei trofei allineati in bacheca, dopo 11 anni in prima squadra al Bayern Monaco, che ha appena lasciato per andarsene al Real Madrid: 27 successi, tra cui dieci Bundesliga e due Champions League. E' proprio vero che a volte il destino è nel nome. Olatukunbo nella lingua di suo padre vuol dire ricchezza che arriva da un paese straniero.
ESERCITO, MUSICA, PALLONE Che famiglia, gli Alaba. Il padre George è un principe nigeriano, etnia Yoruba, che negli anni 80 va a Vienna per studiare economia, poi abbandona Milton Keynes per diventare un dj di fama, infine ottiene la cittadinanza e la chiamata militare a metà anni 90, così diventa un apripista, ossia il primo uomo di colore nella storia dell' esercito austriaco, chissà come l' avrebbe presa Radetzky: «Non ho avuto alcun problema, anzi mi sono divertito», sarà il suo commento a fine naja.
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Nel frattempo ha sposato Gina, ex miss Filippine, infermiera. Una loro figlia, Rose May, ha per ovvi motivi la musica dentro e diventa una cantante di successo, mentre l' altro figlio David Olatukunbo, che pure suona bene il piano e la chitarra, sarà da subito David Alaba, un fenomeno del calcio: a 16 anni il Bayern Monaco lo strappa a viva forza all' Austria Vienna (lui ha rifiutato due volte il trasferimento perché quelli del Bayern nei tornei giovanili erano i più spocchiosi di tutti) e a 17 lo fa esordire in Bundesliga e Champions. Viene adottato da Franck Ribery, che lo vuole al suo fianco in spogliatoio e gli insegna tutto. Fin lì è stato centrocampista, ma Louis Van Gaal ha sempre avuto l' occhio lungo e sentenzia: «Ancora non lo sa, ma è un grande terzino sinistro».
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Infatti da terzino vince la prima Champions nel 2013 con Ottmar Hitzfeld, che definisce Alaba un dono del cielo. Poi arriva Pep Guardiola, capisce che David sarà uno dei migliori di tutti i tempi nella storia del Bayern e lo inventa difensore centrale (mentre in nazionale austriaca gli è capitato di giocare anche prima o seconda punta). Con Guardiola si ferma tre volte in semifinale di Champions, oltre a vincere Bundesliga in serie, però è da difensore centrale che Alaba ridiventa campione d' Europa lo scorso anno a Lisbona. Alla fine, in campo, esibisce una maglietta con scritta inneggiante a Gesù, e cristianamente consola sul proprio petto un Neymar devastato dalle lacrime. E' anche religiosissimo e avventista del Settimo Giorno, Alaba, al punto che una volta si è portato in vacanza a Mykonos il proprio parroco, perché dovevano approfondire alcuni passi della Bibbia. Stasera, prima del fischio d' inizio a Wembley, si farà il segno della croce. Se lo faranno anche gli azzurri, incrociando uno così.
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