Adriano Bonafede per Affari&Finanza - la Repubblica
JEAN PIERRE MUSTIER
Quando nacquero, nel 1990, erano le padrone assolute del sistema bancario italiano. Con la cosiddetta legge Amato, furono create da un giorno all' altro per scissione dalle casse di risparmio e dalle banche del monte: a loro fu affidato un ruolo filantropico, agli istituti di credito sottostanti quello operativo. Le Fondazioni detenevano in toto le azioni delle banche e, soprattutto, avevano lo scettro del comando.
Oggi però, a quasi 27 anni da quel momento storico, le Fondazioni scoprono di non contare quasi più nulla nelle banche conferitarie, con la sola eccezione di quelle presenti nel capitale di Intesa San Paolo che, insieme, continuano a detenere circa il 24 per cento del capitale. L' ultima mazzata è arrivata con l' aumento di capitale da 13 miliardi di Unicredit: nessuna delle Fondazioni presenti nel capitale ha voluto o potuto mantenere la propria quota nella banca. Così Cariverona scenderà da 2,3 per cento all' 1,8, nonostante la parziale sottoscrizione dell' aumento di capitale per 220 milioni.
TORRE UNICREDIT
L a Cassa di risparmio di Torino, anch' essa impegnata a spendere 210 milioni, calerà all' 1,7 per cento. Quella di Modena allo 0,5, mentre sarà frazionale anche la partecipazione azionaria della Fondazione Monte di Bologna e Ravenna. Alla fine, tutte insieme non conteranno più del 5 per cento dell' azionariato: troppo poco per continuare a esercitare un' influenza determinante come avvenuto finora.
LUNGHE POLEMICHE
GIULIANO AMATO
Povere Fondazioni. In fondo, la loro parte l' hanno fatta, insieme a errori capitali per alcune di loro, ovvero soprattutto, tra le grandi, Mps e Carige. Attaccate all' inizio da tutte le parti perché scendevano troppo lentamente sotto il 50 per cento del capitale, come prescritto inizialmente dalla legge, visto che lo scopo della loro creazione non era quello di creare dei nuovi padroni degli istituti di credito ma di arrivare a una progressiva privatizzazione del settore; attaccate, durante i governi Berlusconi, dall' allora ministro dell' Economia Giulio Tremonti, che voleva metterle sotto il suo giogo considerandole enti pubblici (cosa che fu poi smentita da alcune sentenze della Corte costituzionale, che riconobbe il loro carattere privato); a un certo punto sono rimaste invischiate - a partire dal 2007 in poi - nella crisi del sistema bancario italiano e del paese.
SILVIO BERLUSCONI GIULIO TREMONTI
IL MASSIMO FULGORE
Nel 2007, momento del loro massimo fulgore coincidente non a caso con l' anno precedente l' inizio della grande crisi, il loro attivi totali ammontavano a ben 57,5 miliardi. Nel 2015 (ultimo dato disponibile) erano scese a 48,6 miliardi. Ma bisogna considerare che fra il 2008 e il 2013 hanno dovuto correre in soccorso delle loro partecipate, con aumenti di capitale per complessivi 7,5 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere quelli dopo tale data e quelli della nuova ricapitalizzazione in corso di Unicredit (altri 13 miliardi).
E ora qualcuno ricorda con malcelato rancore le pressanti richieste del governo Berlusconi a intervenire, mentre in tanti altri paesi, a cominciare da Germania e Spagna, erano stati usati soldi pubblici. Tanti fondi inutilmente bruciati da parte delle Fondazioni, che sarebbero potuti andare a beneficio dei territori di riferimento. Un intervento pubblico avrebbe forse risolto alla radice il problema delle sofferenze delle banche, che ancora ci portiamo dietro come un fardello e che ha costretto alla fine lo Stato a mettere 20 miliardi a disposizione.
montepaschi mussari
AZZERATO IL PATRIMONIO
Decisione tardiva, commenta qualcuno. Di fatto, i quattrini delle Fondazioni sono andati perduti, salvo eccezioni, senza cavare un ragno dal buco: con il senno di poi sarebbe stato meglio che lo Stato intervenisse subito e in maniera drastica. Ma è anche vero che molte di loro si sono legate doppio filo con gestioni bancarie fallimentari o non hanno saputo rinunciare per tempo alla volontà di esercitare il potere.
Il caso più eclatante è ovviamente quello della Fondazione Monte dei Paschi. Nel 2007 aveva ancora il 56 per cento della banca, oggi è praticamente scomparsa dalla lista degli azionisti visto che ne ha solo lo 0,10 per cento. Nel 2007 questo ente era al terzo posto per patrimonio con 5,38 miliardi, bruciati quasi tutti per tentare di arginare il crollo della banca con una sequenza di aumenti di capitale (4,140 miliardi in tutto) e di impropri indebitamenti, visto che i soldi non li aveva. Nel 2007 la Fondazione erogava a Siena e provincia qualcosa come 236 milioni al territorio, mentre ora tutto il suo patrimonio è limitato a 500 milioni.
carige
Simile, tra le grandi fondazioni, il caso Carige. Anche qui l' ente controllava il 46,6 per cento dell' istituto di credito alla fine del 2007 mentre ora è scesa all' 1,5. Nel frattempo il patrimonio è calato da 1 miliardo a 100 milioni. E ci sono anche casi peggiori: la fondazione di Ferrara, che aveva il 100 per cento di CariFerrara, è di fatto scomparsa visto che si è liquefatto tutto il suo patrimonio per l' irreversibile crisi dell' istituto, che non vale più nulla. Le altre tre Fondazioni che stavano dietro le quattro banche andate in risoluzione (Banca Marche, Etruria, Cari-Chieti e CariFerrara) hanno per loro fortuna conservato un patrimonio seppur molto ridotto.
L' INTERVENTO TARDIVO
GIOVANNI BAZOLI SI RIPOSA FOTO LAPRESSE
Con il senno di poi, gli enti riuniti sotto l' Acri avrebbero dovuto accelerare per tempo la dismissione di quote importanti delle banche invece di considerarle come un loro incontrastato dominio. È arrivato soltanto nel 2015 il protocollo d' intesa con il ministero dell' economia per ridurre a un terzo degli attivi il peso massimo della banca sottostante. Oggi, nella media (ma è appunto la solita storia del pollo di Trilussa), ci sono riuscite poiché l' ultimo dato dice che la quota investita nelle banche è del 32 per cento. E c' era anche il progetto di creare un fondo per aiutare le fondazioni più piccole a uscire più rapidamente dalle banche conferitarie, ma tutto si è arenato dopo le quattro banche poste in risoluzione e i casi Veneto Banca, Bpvi e Mps: chi mai riacquisterebbe oggi le azioni di queste banche?
LA BUONA GESTIONE
Giuseppe Guzzetti
Ma, tra le Fondazioni, c' è stato anche chi si è mosso bene. Ad esempio, la Fondazione Cariplo, che è stabilmente al primo posto in Italia, ha oggi un patrimonio più elevato di dieci anni fa: 6,850 miliardi contro 6,258 di prima. Bene anche la Compagnia di San Paolo, seconda nella classifica del patrimonio, passata da 5,398 miliardi a 5,809. A essere andate bene ci sono anche: Fondazione Carifirenze, passata da nono al sesto posto, e il cui patrimonio è salito da 1,25 a 1,52 miliardi; Carirovigo passata da 1,64 a 1,83 miliardi; buona perfor- mance anche da parte delle fondazioni di Cuneo, Lucca, Cariparma (che conserva il 13,50% della banca, non a caso ben gestita), Modena, Pisa.
Chi è uscito dalla banca di origine in anni non recenti, come la Fondazione Roma, ha lasciato quasi inalterato il proprio patrimonio (comunque sceso a 1,522 miliardi oggi contro 1,689), anche se bisogna rilevare che ancora oggi questo ente detiene l' 8 per cento dei propri attivi in azioni Unicredit.
logo intesa san paolo
A ben guardare, gli enti che hanno meglio mantenuto e accresciuto la propria posizione patrimoniale sono soprattutto quelli che si trovano in Intesa Sanpaolo. La banca italiana più grande e meglio gestita ha di fatto salvato le stesse fondazioni, che non si sono dovute svenare quando è stato chiesto loro di partecipare agli aumenti di capitale e sono state comunque ripagate.
IL CROLLO DELLE EROGAZIONI
A rimetterci più di tutti, in questo gioco al massacro sul sistema bancario italiano, alla fine sono stati i territori di riferimento delle Fondazioni. Dal 2008 al 2013 le erogazioni hanno avuto una contrazione continua. Soltanto nel 2015 c' è stato un lieve segno più (2,7 per cento). Tuttavia il livello della spesa destinata ai territori si è quasi dimezzato nei dieci anni considerati, passando da 1.715 milioni a 936 milioni. A questa contrazione, le fondazioni - come rilevano i documenti dell' Acri - hanno cercato di rispondere qualificando meglio la spesa. Se al tempo delle vacche grasse ai territori arrivavano soldi a pioggia con controlli a volte approssimativi, ora l' attività erogativa è diventata più strutturata e meno casuale.