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    “NOI I VECCHI CE LI MANGIAMO, CON I LORO SOLDI CI PAGHIAMO I ROLEX” - TRUFFE AGLI ANZIANI, ALTRI 6 ARRESTI DOPO I 37 DI DUE SETTIMANE FA – IL PENTITO: “OROLOGI D’ORO, FESTE E DROGA CON I SOLDI DELLE VITTIME - I TRUFFATORI, OLTRE ALL’IDENTICO MODUS OPERANDI, AVEVANO LA CAPACITÀ DI DILAPIDARE I BOTTINI IN ESCORT E BEVUTE NEI LOCALI OPPURE VACANZE AL CALDO, TIRANDO COCAINA - QUELL’ODIO NEI CONFRONTI DELLE VITTIME- LE INTERCETTAZIONI E QUEL COLPO DA 100MILA € A MILANO... - VIDEO


     
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    Andrea Galli per corriere.it

     

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    Ricorre un verbo, nelle conversazioni di questi balordi: «Lavorare». Per esempio: «Ciro Diana mi propose di lavorare per lui, mi disse che suo figlio Michele lavorava nel settore delle truffe agli anziani». Lavorare. Poi ci sono, fra i balordi, quelli che hanno fatto i duri con una delle fasce più deboli e indifese, ma che, non appena sono stati arrestati e spediti in galera, si sono impauriti e hanno cominciato a «cantare». In lungo e in largo. Pentiti che hanno trascinato giù i complici. Dopo il primo filone chiuso due settimane fa (37 in carcere e 45 indagati), in un’inchiesta esclusivo merito della fatica sul campo dei carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, adesso ci sono state cinque nuove catture.

     

     

     

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    Uno dei pentiti si chiama Giovanni Fortunato, ha 30 anni. Ascoltiamolo. Esordisce così, nella confessione contenuta nell’ordinanza del gip Alessandra Cecchelli: «La prima truffa è stata a inizio febbraio, vicino corso Como: ho fatto 300 grammi di oro e 850 euro in contanti. Da quel momento ho continuato a farne in tutta Lombardia e a Torino, insieme a Michele Diana che faceva il telefonista». Diana, 22 anni, è originario di San Giorgio a Cremano, in provincia di Napoli; per «telefonista» s’intende quello che chiamava a casa degli anziani, raccontava che il figlio o la figlia avevano avuto un incidente stradale, avevano l’assicurazione scaduta, erano stati portati in caserma dai carabinieri, e bisognava subito pagare affinché tornassero in libertà. Ogni tipo di pagamento era ben accetto: contante, orologi, anelli, beni di famiglia. Ruoli precisi, all’interno delle bande. Fortunato era addetto alla «riscossione» a domicilio: «Dovevo essere sempre vestito bene, mi sedevo al bar e aspettavo. Quando una telefonata era buona, allora io entravo nell’abitazione e prendevo. Guadagnavo il venti per cento della refurtiva».

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    Sguaiati, convinti di restare degli impuniti, i truffatori, oltre all’identico modus operandi, avevano almeno altri tre punti in comune: una presenza assidua sui social network solitamente facendo linguacce, nelle foto, e alzando il dito medio; poi la capacità di dilapidare i bottini in bevute nei locali ed escort, oppure vacanze al caldo, tirando cocaina; e ancora, l’odio nei confronti delle vittime derubate e minate nella loro dignità, perché le telefonate intercettate erano tutte uguali («Dobbiamo fregare i vecchi», «Noi i vecchi ce li mangiamo») e, come ha svelato il pentito, «con i soldi dei vecchi ci paghiamo i Rolex».

     

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    Certi giorni, i balordi hanno raggiunto i 200mila euro di refurtiva, colpendo a raffica a Milano. L’inchiesta coordinata dai pm Giancarla Serafini e Lucia Minutella, sotto la direzione del procuratore aggiunto Eugenio Fusco, ha accertato del resto un singolo raggiro da 100mila euro, come ha raccontato sempre Fortunato: «Ricordo che un giorno eravamo in zona Corvetto, Michele mi racconta che nella zona poco prima aveva fatto un colpo da 100mila euro, aveva preso una scala per recuperare la refurtiva nascosta dietro alcuni mobili. La refurtiva è stata messa in due borse che abbiamo portato via».

     

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    Il corpo centrale dell’intera operazione ha conteggiato in azione sette bande, in prevalenza napoletane. Duecento truffe complessive e una tassa fissa versata al clan camorristico Contini che benediva e avallava. Il risultato della caccia dei carabinieri segna un epocale spartiacque nel contrasto ai raggiri. Fra gli ultimi in manette, la 24enne milanese Giorgia Rigolli: «Teneva in casa soldi e preziosi. Portava la refurtiva in stazione insieme ai capi che partivano per Napoli». Custode e autista del gruppo. Un gruppo ostile alla fatica, anche se quando l’hanno preso, l’altra notte, Michele Diana era in un centro logistico. Come operaio. Lavorava per davvero. Forse l’ennesima recita, presagendo la cattura.

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