Daniele Dell'Orco per “Libero quotidiano”
attacco hacker in iran
«Il sangue dei nostri giovani è sulle tue mani». Un messaggio shock che ha interrotto improvvisamente il tg del sabato sulla rete televisiva statale della Repubblica Islamica dell'Iran, durante un servizio sulla Guida Suprema Ali Khamenei. Un gruppo che si fa chiamare "Adalat Ali" (la giustizia di Ali), al posto del notiziario ha proiettato una breve clip in cui si vede Khamenei circondato dalle fiamme, mentre in sottofondo si sentono le note dell'inno delle proteste esplose dopo la morte della 22enne Mahsa Amini, uccisa mentre era presa in custodia dalla "polizia morale" il 16 settembre.
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Il suo arresto, per non avere indossato correttamente il velo islamico, l'hijab, come prescritto dalle leggi coraniche, era stato accompagnato da pesanti percosse. Da quel giorno, moti di protesta sono esondati insieme alla notizia della sua morte, prima nelle regioni occidentali, da cui Amini proveniva, e poi in tutto il resto del paese.
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Nella loro incursione gli hacker hanno inserito anche le foto delle ragazze uccise nelle successive repressioni da parte della polizia, come la 17enne Nika Shakarami, l'attivista Hadis Najafi e la 16enne Sarina Esmaeilzadeh. Una delle didascalie diceva «Unisciti a noi e sollevati», mentre un'altra denunciava appunto «il sangue dei nostri giovani è sulle tue mani».
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Sangue che secondo l'organizzazione non governativa Iran Human Rights, che ha sede a Oslo, in Norvegia, è stato versato dalla morte di almeno 185 persone, tra cui 19 bambini. La Ong ha detto che la metà delle morti è stata registrata nella provincia del Sistan e Balucistan, nel sud-est dell'Iran, al confine con il Pakistan. A loro si aggiungono almeno 20 membri delle forze di sicurezza iraniane rimasti uccisi durante le manifestazioni (basij, pasdaran o polizia).
Vladimir Putin Ebrahim Raisi
Il riferimento ai "giovani" dei pirati informatici riguarda però anche gli studenti, particolarmente attenzionati dal governo. Alcuni resoconti social pubblicati dal Guardian, basati su testimonianze dirette, raccontano di retate da parte delle forze di sicurezza, giunte con dei furgoni senza targa, per arrestare gli studenti all'interno dei locali di una scuola.
Le autorità hanno anche chiuso tutte le scuole e gli istituti di istruzione superiore nel Kurdistan iraniano, un altro segnale di preoccupazione da parte di Teheran. È così infatti che le proteste contro il regime teocratico del leader Supremo Khamenei e del presidente Ebrahim Raisi stanno contagiando le piazze di mezzo mondo. Nonostante il blocco di Internet, Instagram e WhatsApp, infatti, immagini e video riescono ad aggirare la censura della Repubblica islamica attraverso i sistemi Vpn che garantiscono anonimato e sicurezza.
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Uno dei materiali più suggestivi filtrati dall'Iran è lo striscione posto su un viadotto della superstrada Modarres che attraversa il centro della capitale, con la scritta: «Non abbiamo più paura. Combatteremo». Un segnale che mostra la determinazione specie di giovani e donne per tenere alto il livello di quello che ormai è il più importante ciclo di contestazioni, per portata e significato, dalla rivoluzione del 1979.
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Frutto di uno spontaneismo per certi versi inedito e privi di una leadership riconoscibile, i moti di rivolta sono molto più difficili da contenere per le autorità rispetto ad altri precedenti come il movimento verde di opposizione del 2009. Anche per questo, il rischio che le proteste possano sfociare in una guerra civile è sempre più alto.
A gettare benzina sul fuoco ci sono sempre le dichiarazioni delle istituzioni centrali. Come la magistratura di Teheran, secondo cui Mahsa Amini non sarebbe morta per le botte in commissariato, bensì per le conseguenze di un'operazione per tumore al cervello quand'era bambina. Nel caso delle due adolescenti morte nelle proteste, invece, la versione ufficiale delle autorità indica come causa del decesso "la caduta da un edificio".
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I vertici della Repubblica islamica e Raisi stesso continuano a proporre la tesi secondo cui le proteste sarebbero fomentate da potenze straniere e in particolare da Usa e Israele. I primi come rappresaglia per il fallimento dell'accordo sul nucleare iraniano e per l'appoggio economico e militare fornito alla Russia (che con i droni kamikaze Shahed-136 sta recando molti danni ai depositi di armi occidentali in Ucraina).
I secondi per cavalcare le tensioni e rovesciare un regime che li vorrebbe cancellare dalla faccia della Terra. Con queste accuse Raisi vorrebbe cementificare gli istinti "controrivoluzionari" dei cittadini più tradizionalisti, marcando così una pericolosissima spaccatura sociale.