Luca Beatrice per "Il Giornale"
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Davvero incredibile come in un solo prodotto riescano ad alternarsi sequenze di magistrale classe ed eleganza ad altre che straboccano nel kitsch, momenti di suspence e tensioni degni del miglior thriller a cadute, certamente volute, nello splatter più eccessivo che causa inevitabili effetti comici. Frutto della genialità di Ryan Murphy, regista e produttore di Glee, Pose e della più recente Hollywood di cui riconosciamo in particolare il medesimo stile.
Un linguaggio e un'estetica destinati a dividere drasticamente i fan da chi invece troverà il tutto insopportabile, con ragioni entrambe valide. Il punto di partenza di Ratched lo si ritrova nell'epocale film di Milos Forman, Qualcuno volò sul nido del cuculo, vincitore di cinque Oscar, tratto dall'omonimo romanzo di Ken Kesey pubblicato in America nel 1962 e tradotto anni dopo in Italia.
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All'epoca era molto sentito il tema delle cure psichiatriche per malati di mente e nel plot narrativo spuntava il personaggio di Mildred Ratched, terribile infermiera specializzata in trattamenti disumani che nei soggetti violenti significava elettroshock. Un personaggio che Murphy ridisegna totalmente nella serie Netflix in otto episodi, dal finale aperto che fa pensare a una nuova stagione.
Ambientata in una California ben poco soleggiata nel 1947, è subito un trionfo cromatico e pittorico di livello straordinario: abiti, scenari, automobili, ambienti in cui i colori iperrealisti sfondano letteralmente lo schermo. Movimenti di macchina e uso diegetico della colonna sonora fanno pensare al cinema classico, risvegliano il miglior Hitchcock coverizzato a sua volta da Brian De Palma.
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Chi ha nostalgia per questo tipo di film ne resterà incantato. Altro punto di forza le attrici, tutte straordinarie: la protagonista Mildred, dai tanti lati oscuri e ambigui, interpretata da Sarah Paulson (attualmente la apprezziamo anche in Mrs. America); Cynthia Nixon, l'indimenticabile Miranda Hobbes di Sex and the City; Judy Davis, caratterista di lungo corso con Woody Allen; una Sharon Stone allucinata; e Sophie Okonedo, strepitosa nell'incarnazione di personalità multiple.
Nella vicenda intricata che ha per sfondo la clinica psichiatrica del dottor Hanover, chiaramente un impostore, e di cui non riveleremo nulla perché i colpi di scena sono il sale dell'intero lavoro, si innestano momenti di autentico BMovie dove il tono sofisticato si fa da parte ed entrano in scena amputazioni e macelli a volontà. Altro tratto insistente è l'omosessualità, cara a Murphy, che fa da elemento trainante al suo cinema fondato sulle relazioni ambigue, che non nascono mai da un sentimento autentico e si portano dietro spesso qualcosa di perturbante.
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Pur avvertendone a tratti i limiti - come la lunga sequenza delle marionette che funziona da superfluo transfert psicanalitico - o l'eccesso di manierismo in ognuna delle otto puntate, Ratched funziona perché non vedi l'ora di arrivare alla fine. D'accordo l'estetismo a palate, ma c'è anche una storia ed è ottima.
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