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Molte persone probabilmente non hanno mai sentito parlare della parola digisessualità. Ma non è escluso che la maggior parte di noi lo sia in qualche misura. Il termine coniato nel 2017 dagli studiosi nordamericani Neil McArthur e Markie Twist si riferisce a persone la cui "identità sessuale primaria deriva dall'uso della tecnologia", che si tratti di appuntamenti casuali, relazioni a lungo termine o pratiche sessuali.
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La digisessualità potrebbe sembrare comune per le persone che sono cresciute immerse nella tecnologia e utilizzano app e dispositivi per facilitare l'interazione da uomo a uomo. Pensate al sexting, ai collegamenti di Tinder, alle chiamate Skype a lunga distanza o al flirt su Instagram. Nel mezzo, c'è l'emergere di teledildonics, giocattoli sessuali ad alta tecnologia, che potrebbero essere collegati a Internet come qualsiasi altro dispositivo intelligente e utilizzati anche come parte di esperienze sessuali con un partner lontano. Poi ci sono i casi un po’ più estremi di coloro che hanno relazioni o fanno sesso con robot.
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Per alcuni, la digisessualità è uno spazio in cui trovare nuovi tipi di divertimento e intrattenimento e spingersi al di là nell’esplorazione. Ma se per molti si tratta di esperienza al limite e un po’ folle non è detto che debba essere sempre da condannare. È il caso di Akihiko Kondo, un giapponese che ha "sposato" l’ologramma di Hatsune Miki: la sua relazione lo ha salvato dalla depressione, dalle ansie legate al lavoro e dalla paura del rifiuto. Non tutti, infatti, riescono a essere disinibiti allo stesso modo o hanno le stesse opportunità di incontrare persone come nel caso dei queer o delle persone non binarie.
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