Nino Materi per “il Giornale”
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Quando i carabinieri si sono presentati alla porta, ha intravisto solo delle ombre. Emilio Coveri è infatti quasi cieco, menomazione che però non gli impedisce di combattere, con coerenza e onestà intellettuale, una dura battaglia pro-eutanasia.
Coveri è il paladino del «diritto all' autodeterminazione della morte dignitosa», di un «libero arbitrio da esercitare quando ogni cura è inutile e il dolore diventa insopportabile»: convincimento per il quale il fondatore di Exit-Italia dovrà ora rendere conto alla giustizia. Sotto accusa, ovviamente, non sono le idee, ma comportamenti che configurino eventuali reati.
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Nella sua abitazione (che è anche la sede dell' associazione da lui presieduta dal 1996) i militari gli hanno consegnato un avviso di garanzia con l' imputazione di «omicidio del consenziente relativamente all' art. 580 del Codice Penale». Ad annunciarlo agli iscritti Exit è stato lo stesso Coveri che non ha mai negato di «offrire informazioni per ricorrere alla dolce morte in Svizzera».
L' avviso di garanzia riguarda il caso di una donna siciliana che aveva fatto questa scelta recandosi la scorsa primavera in Svizzera, dove è ricorsa al suicidio assistito alla clinica Dignitas.
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La donna era affetta «da una rara sindrome che le provocava fortissimi dolori e non le permetteva di stare in piedi», spiega Coveri; che aggiunge: «Marco Cappato non è più solo. La politica, invece di discutere una normativa di legge sull' eutanasia e suicidio assistito in Italia, litiga per le solite e ormai vetuste ideologie». Racconta il presidente di Exit-Italia: «La signora Alessandra Giordano, 47 anni, di Paternò (Catania) mi aveva contattato ad agosto del 2017.
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Mi ha esposto il suo disagio e il suo tormento: anche questo fa parte del mio lavoro, ascoltare. Le ho consigliato di fare testamento biologico, di associarsi a Exit per poi ottenere tutte le informazioni e le indicazioni pratiche per andare in Svizzera e ricorrere al suicidio assistito.
Qui finisce il nostro compito: possiamo solo dare informazioni. I suoi familiari non erano d' accordo con la sua scelta. Non rinnego quello che le ho detto: Alessandra, informati, prendi contatti e parti». «Alessandra - aggiunge Coveri - è andata in Svizzera perché non ne poteva più delle sofferenze indicibili che le avevano rovinato l' esistenza. Stava tanto male da aver dovuto lasciare il suo lavoro di insegnante».
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Di diverso avviso i familiari di Alessandra che hanno denuncia il caso alla magistratura di Catania, sostenendo che la loro parente poteva e doveva essere salvata. Alessandra Giordano è morta in una «stanza della morte» nel paesino di Forch dopo essersi sottoposta alla pratica del suicidio assistito.
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Una decisione presa all' oscuro dei suoi familiari, che erano contrari e che per la scomparsa della donna si erano rivolti anche a Chi l' ha visto?. Grazie alla segnalazione di un amico che l' aveva incontrata all' aeroporto in partenza per Zurigo, era stato chiaro il suo piano. Ma quando la famiglia aveva provato a contattare la clinica svizzera per convincerla a tornare a casa, lei era già morta.
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