Riccardo Arena per “la Stampa”
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La prima cosa che ti prende come un pugno allo stomaco non si può rendere sulla carta né in video né in altro modo, non si può comprendere se non si entra materialmente nel girone infernale del cimitero palermitano dei Rotoli. È la puzza. Una dannata puzza di morto, se vogliamo usare un linguaggio da film western. Perché, se ne parli senza avere un congiunto, un familiare, un genitore, un fratello, un figlio tra le mille bare in attesa di sepoltura nella Palermo del XXI secolo, magari non ti fa tanto effetto.
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Ma immaginate chi, per "pietas", per affetto, per dolore, per la speranza di poterlo finalmente seppellire, va a trovare un defunto che era una persona cara. Immaginate di sentire l'odore acre e nauseabondo della sua e di 999 altre contemporanee decomposizioni, accelerate dal caldo, il terribile caldo siciliano di queste settimane. E se poi la decomposizione si vede pure materialmente, con tracce evidenti che spuntano sotto e accanto alle bare accatastate dove capita, il dolore si centuplica, si mescola allo schifo e si trasforma in rabbia. Benvenuti all'inferno.
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Storia per stomaci forti, questa. Storia che si snocciola in mezzo alla gente sparuta che in questi giorni a cavallo di Ferragosto trova il coraggio di andare alla ricerca delle bare dei parenti, degli amici, che l'amministrazione comunale di Palermo, guidata da Leoluca Orlando, non riesce a seppellire. Storia di inefficienza e burocrazia, di rimpallo di competenze e di incapacità di trovare una soluzione che sia veramente tale. Storia di sopraffazione e rassegnazione, perché va avanti da così tanto tempo, dalla seconda metà del 2019, che rientra quasi nella normalità di una Palermo che normale veramente non lo diventerà mai.
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Quando Gianluigi Nuzzi scrisse sulla Stampa, alla fine di giugno del 2020, facendo conoscere il caso a livello nazionale, le bare insepolte ricoverate (si fa per dire) sotto i tendoni, i gazebo, ma anche in uffici, sopra impalcature, a terra, nei gabinetti, erano "appena" 480. Ora viaggiano tra 975 e mille, soglia psicologica difficile da accettare e per questo probabilmente occultata in questo macabro calcolo quotidiano. Non c'è posto, mancano gli spazi per l'inumazione e i loculi; gli altri due cimiteri comunali, Cappuccini e Santa Maria di Gesù, sono piccoli, la costruzione del quarto, a Ciaculli, borgata intrisa di mafia, è lontana anni luce. I privati che gestiscono il camposanto di Sant' Orsola non sono tenuti a ospitare le salme. Forse lo faranno adesso, dopo l'ordinanza del sindaco.
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Ma intanto, racconta Giuseppe, giovane e disfatto perché lì ai Rotoli ha la madre e un fratello privi di sepoltura, «non si trova nemmeno il posto per mettere la bara per terra». Gli fa eco il padre, Paolo, che è lì con lui: «Sono buttati così, come le cose. Chi arriva prima si sistema, gli altri poi si vede». La signora Maria commenta: «Non ci è possibile portare un fiore ai nostri cari, ma è possibile tutto questo?». E mostra il tappeto di bare da percorrere per arrivare alla cassa in cui c'è la madre, mentre stringe la mascherina al viso, non certo per paura del Covid.
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Storia disgustosa quanto brutta. Perché nei giorni scorsi il direttore del cimitero di Santa Maria dei Rotoli, Leonardo Cristofaro, ha preso tastiera e video e ha scritto una mail al capo di gabinetto del sindaco, Sergio Pollicita: le bare scoppiano, gli ha comunicato, ma non tanto per dire. Scoppiano, sì, è un processo naturale causato dalle alte temperature. E così, mentre Matteo Salvini coglie la palla al balzo e preannuncia una visita al cimitero della borgata marinara palermitana, per sfidare il nemico Orlando, lo stesso sindaco di lungo, lunghissimo corso (con alcune pause lo è dal 1985) litiga col Consiglio comunale ed emana ordinanze che in sostanza avrebbe potuto firmare un anno, un anno e mezzo fa, per cercare di trovare una soluzione.
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C'è un'altra signora, in mezzo ai gazebo pieni di morte sospesa, che decide di affrontarlo con grande rispetto ma direttamente: «Sindaco Orlando, non so se è lei la persona interessata». Non dice il nome, ma non per paura o reticenza, perché si mostra anche alle telecamere, sistemandosi gli occhiali di tartaruga e ravviandosi i capelli lunghi e mossi, poco curati nei giorni del dolore senza fine della mancata sepoltura del padre: "Se è lei la persona interessata, è a lei che mi rivolgo. Non userò parole offensive. Le parlo civilmente da palermitana, perché lei possa fare, per favore, qualcosa. Si prenda cura dei suoi palermitani. Per favore, glielo chiedo, sindaco Orlando».
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Parole che sintetizzano il rapporto viscerale, unico, strano, che c'è tra il sindaco e la sua Palermo. Faccia qualcosa per i palermitani, gli dicono i cittadini e anche quelli della Lega e delle opposizioni di centrodestra, oggi diventati maggioranza in Consiglio comunale. Ma Leoluca Orlando, nel pieno dell'emergenza bare e dei rifiuti che affollano le strade della città, vuota di persone per le ferie ma piena di spazzatura per le inefficienze dell'azienda comunale, si rivolge invece all'Onu: «Il Consiglio di sicurezza batta un colpo - scrive -. In Afghanistan c'è un'emergenza umanitaria che impone interventi immediati». Le bare di Palermo possono aspettare.
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