Alessandra Rizzo per "la Stampa"
boris johnson
Allontanata dal governo di Boris Johnson per via della sua fede musulmana che «metteva a disagio i colleghi». L'accusa di islamofobia da parte di una deputata Tory colpisce un Partito Conservatore già nella bufera, tra tentativi di ribellione contro il premier, spaccature e accuse di intimidazioni e ricatti interni. Per un primo ministro traballante, rappresenta l'ennesimo grattacapo in una settimana decisiva per la tenuta della sua premiership. A scagliare l'accusa è Nusrat Ghani, ex sottosegretaria ai trasporti. Quarantanove anni, un'adolescenza tra gli ambienti della «working class» di Birmingham con l'aspettativa di sposarsi giovane e vivere nelle case popolari, Ghani è stata la prima donna musulmana a diventare deputata per i Tory, e la prima a parlare ai Comuni a nome del governo nel 2018. E' stata rimossa dal suo incarico durante un rimpasto lo scorso anno.
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Alla richiesta di spiegazioni, sostiene lei, si è sentita dire che il suo «essere musulmana era stato sollevato come un problema», che la sua posizione nel governo «metteva a disagio i colleghi» e che qualcuno dubitava della sua lealtà al partito. «È stato come un pugno nello stomaco», ha raccontato al Sunday Times. «Mi sono sentita umiliata e impotente». L'accusa pesantissima, di cui Johnson era stato informato, ha provocato imbarazzo, smentite, contro-smentite, e ulteriori attacchi al governo. Secondo un portavoce di Downing Street, il premier aveva espresso all'epoca delle accuse «seria preoccupazione» e invitato la deputata a fare una denuncia formale attraverso gli organi di partito competenti.
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A detta di Ghani, Johnson le aveva detto chiaramente di non voler essere coinvolto; quanto alla denuncia formale, sostiene lei, il partito aveva minacciato di distruggerle la carriera e la reputazione se avesse continuato a sollevare la questione. E' intervenuto anche Mark Spencer, il potentissimo whip conservatore (ruolo fondamentale nel partito che fa da tramite tra il gruppo parlamentare e il governo, e assicura che i deputati si attengano ai dettami dei ministri durante i voti ai Comuni), che ha definito le accuse «false e diffamatorie».
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L'accusa di islamofobia per i conservatori non è nuova, ma arriva in un momento delicatissimo. Il partito è scosso da una ribellione interna contro il premier per lo scandalo dei festini di Downing Street durante il lockdown, ma è incapace di esprimere un candidato unitario alternativo ed è spaccato su quale sia il momento migliore per cercare di far cadere Johnson. Nei giorni scorsi, alcuni dei ribelli hanno sostenuto di essere stati minacciati e ricattati dai vertici di partito: se avessero perseverato nell'intento di sfiduciare il primo ministro, dicono, avrebbero visto un taglio ai finanziamenti nei rispettivi collegi elettorali. E continua lo stillicidio di notizie sui festini proibiti del governo.
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Secondo il Daily Telegraph, quotidiano vicinissimo ai conservatori e in particolare a Johnson che vi ha scritto a lungo, lo staff di Downing Street ha bevuto e ballato fino all'una del mattino nel corso di due party alla vigilia dei funerali del Principe Filippo, quando la Regina, sola e dignitosa tra i banchi della cappella di Windsor, ha detto addio al marito dopo oltre 70 anni passati insieme. Johnson, che non era presente, è stato costretto a scusarsi personalmente con Elisabetta. Ma intanto il premier resta sul filo di lana, in attesa della pubblicazione dei risultati di un'inchiesta interna sul partygate, prevista per questa settimana.
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Le indiscrezioni di stampa si rincorrono da giorni, ma nessuno per ora sa davvero a quale conclusione sia giunta la funzionaria Sue Gray, diventata improvvisamente la donna più potente di Whitehall. I ribelli aspettano la «pistola fumante» per dare il via al tentativo di sfiduciare il premier; gli alleati di Johnson tengono i nervi saldi; lui giura di combattere fino alla fine. Si apre, per Boris Johnson, la settimana più lunga.
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