Giovanni Bianconi per Corriere.it
diabolik
Era guidata da Fabrizio Piscitelli, il capo ultrà della Lazio ucciso a Roma il 7 agosto scorso, l’organizzazione di narcotrafficanti smantellata dalla Procura di Roma e dal Gico della Guardia di finanza, alla quale è contestata l’aggravante del metodo mafioso. Di questo sono convinti i pubblici ministeri e gli investigatori che hanno condotto l’indagine chiamata Grande raccordo criminale, sfociata in 50 arresti eseguiti stamane.
E se l’operazione non porta agli assassini di Diabolik, disegna però un contesto di affari legati al mondo della droga nel quale l’omicidio può essere maturato. Anche per via del ruolo assunto nel tempo da Piscitelli, e per il suo modo di agire. Sono infatti i suoi stessi amici – complici secondo l’accusa – a mostrarsi preoccupati per i comportamenti di Diabolik e per gli atteggiamenti assunti nei confronti di rivali e debitori, paventando reazioni violente nei suoi confronti.
diabolik murale
«Non sta bene – dice in una conversazione intercettata il 13 maggio dello scorso anno una delle persone arrestate oggi, considerato un suo “fedelissimo” –... lui è Fabrizio Piscitelli… pensa che comunque non ci può essere un matto che prende e gli tira una sventagliata sul portone, non lo capisce…». Un anno e quattro mesi più tardi è stato ammazzato con un colpo di pistola alla nuca, e secondo la ricostruzione del procuratore aggiunto Michele Prestipino e del sostituto procuratore Nadia Plastina, l’esecuzione di Diabolik è la dimostrazione di un «prestigio criminale» accresciuto e riconosciuto a Roma, che lo faceva sentire troppo convinto di sé, al punto di commettere imprudenze che suscitavano timori nei suoi stessi amici.
operazione grande raccordo criminale
Il «recupero crediti» con i pestaggi
Tra gli arrestati c’è una delle persone più a legate a Piscitelli, il quarantaduenne Fabrizio Fabietti, accusato di capeggiare la banda al suo fianco, e di dirigere i traffici di hashish e cocaina, già arrestato per droga nel 2006. I dialoghi intercettati nel 2018 in casa sua costituiscono l’elemento principale su cui si fondano i capi d’imputazione contestati agli indagati, e in molti di questi compare la voce di Piscitelli, interessato non solo al commercio di sostanze stupefacenti, ma anche al «recupero crediti» nei confronti di acquirenti in ritardo sui pagamenti. Anche attraverso violenti pestaggi di cui s’è avuta la prova quasi in diretta, effettuati da una «batteria di picchiatori» messa in azione quando necessario.
Principale fornitore della droga sarebbe stato l’albanese Dorian Petoku, arrestato in patria e in attesa di estradizione verso l’Italia, mentre l’altro indagato Alessandro Telich detto Tavoletta (32 anni, già arrestato nel 2013 insieme a Piscitelli), è accusato di essere «l’esperto informatico» del gruppo, in grado di fornirlo di «dispositivi telefonici dotati di un particolare sistema di comunicazione telematica criptata non intercettabile». Accorgimenti che però non sono bastati a contrare le indagini degli specialisti del Gico e far emergere il mondo sommerso nel quale si muoveva Diabolik prima di essere assassinato.
operazione grande raccordo criminale