Estratto dell'articolo di Carlo e Cesare Rimini per il “Corriere della Sera”
divorzio
L’assegno di divorzio non è più quello di una volta. Fino a qualche anno fa, il tenore di vita coniugale era il principale parametro nella sua determinazione. Chi lo chiedeva si rivolgeva al giudice elencando nei minimi particolari le spese, anche futili e voluttuarie, che caratterizza-vano la vita coniugale per ottenere un assegno che permettesse di fare, dopo il divorzio, la stessa vita di prima.
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Ricordiamo una signora, elegantissima, alla prima udienza del suo giudizio di divorzio. Elencando le proprie incomprimibili esigenze, aveva messo a metà della lista il costo di un autista. Il giudice si era permesso di chiederle se almeno all’autista non potesse pensare di rinunciare. «Signor giudice — aveva risposto — ma lei ha presente che pena è cercare parcheggio attorno ai negozi del centro? Per non parlare dei posteggi sotterranei, luoghi infrequentabili. Con l’autista il problema è risolto».
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Il giudice, che in tribunale era venuto in bicicletta, si limitò ad assentire: aveva presente il problema. Nel 2018 la giurisprudenza è cambiata. La Cassazione, a Sezioni Unite, ha affermato che, dopo il divorzio, l’ex coniuge più debole non ha diritto a mantenere il tenore di vita matrimoniale. È necessario invece valutare se la parte che chiede un contributo abbia effettuato un rilevante sacrificio a favore delle esigenze familiari durante il matrimonio, ad esempio dedicandosi alle esigenze dei figli.
Divorzio
In questo caso ha diritto a una adeguata compensazione, perché frequentemente al momento del divorzio non è possibile per il coniuge, che durante il matrimonio ha rinunciato alle proprie prospettive professionali, reinserirsi nel mondo del lavoro. […]
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