Laura Cuppini per www.corriere.it
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La variante «inglese» del coronavirus sembra gettare una nuova tegola di pessimismo su questo travagliato 2020. Sarà più letale? Renderà inefficaci i vaccini che stiamo già utilizzando? Per ora non abbiamo una risposta certa a queste domande, sappiamo solo che la mutazione potrebbe essere più altamente infettiva e — stando a quanto dichiarato dall’Organizzazione mondiale della Sanità — «potrebbe anche incidere sull’efficacia di alcuni metodi diagnostici»: e già queste sono brutte notizie.
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Ma facciamo un passo indietro: il 14 dicembre il ministro della Sanità britannico, Matt Hancock, annuncia: «È stata identificata una nuova variante del coronavirus che potrebbe essere associata a una sua diffusione più rapida». I casi sembravano localizzati per lo più nel Sud dell’Inghilterra. Il 19 dicembre, in una conferenza stampa congiunta, il premier Boris Johnson e Chris Whitty, a capo dell’Autorità sanitaria, dicono che non ci sono prove che il virus mutato possa essere più letale o rendere meno efficaci i vaccini. Il premier annuncia però un lockdown duro per la capitale e le contee vicine, perché il rischio di ammalarsi sta salendo in modo esponenziale. Misure più restrittive per il periodo natalizio sono state decise anche in Galles e Scozia.
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La “bomba” è esplosa, insieme alla paura, ma è necessario tenere i piedi per terra e fermarci a quello che sappiamo con certezza. La nuova variante potrebbe avere, secondo le prime osservazioni, una capacità di trasmissione più alta del 70% rispetto a quella finora circolante. Ma gli studi sono in corso (qui un’analisi pubblicata in preprint su BioRxiv da Ravi Gupta, professore all’Università di Cambridge, che ha isolato la variante insieme al suo gruppo di ricerca) e avvengono in collaborazione con le autorità sanitarie internazionali, a partire dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
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«Siamo in stretto contatto con i funzionari del Regno Unito sulla variante del virus — si legge sul profilo Twitter dell’Oms —. Continueranno a condividere informazioni e risultati delle loro analisi e studi in corso. Aggiorneremo gli Stati membri e il pubblico man mano che apprenderemo di più sulle caratteristiche di questa variante e su eventuali implicazioni». Al di fuori della Gran Bretagna sono state segnalate altre infezioni imputabili al nuovo ceppo: 9 in Danimarca, una nei Paesi Bassi e una in Australia. «In tutta Europa, dove la trasmissione è intensa e diffusa, i Paesi devono aumentare la loro capacità di sequenziamento del virus in attesa di saperne di più sui rischi posti dalla variante» ha detto un portavoce dell’Oms Europa. Intanto diversi Paesi (tra cui l’Italia) hanno deciso di sospendere i voli dal Regno Unito.
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«Si tratta di una misura precauzionale per capire la portata del problema — ha affermato in merito il ministro della Salute Roberto Speranza, ospite alla trasmissione Mezz’ora in più —. Ora i nostri scienziati dovranno capire la situazione, siamo in contatto con Oms e Governo inglese. La variante non sembra fare maggiori danni, ma produce più contagiati e questo resta un problema molto serio. Da primissime informazioni sembra che i vaccini possano funzionare ugualmente, ma servono dati più solidi. Ho dato incarico di analizzare le sequenze genomiche nel nostro Paese, dobbiamo assolutamente fare tutte le verifiche del caso».
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Il nuovo ceppo di Sars-Cov-2 sarebbe comparso a metà settembre a Londra e nel Kent e in poco più di due mesi è diventato dominante nella capitale inglese. Il 9 dicembre la variante risultava presente nel 62% dei casi a Londra, 59% nell’Inghilterra orientale e 43% nel Sud-Est, secondo quanto riferito da Patrick Vallance, a capo dei consulenti scientifici del Governo.
«I virus mutano continuamente. Questa è una particolare costellazione di variazioni che riteniamo importante — ha spiegato Vallance —, pensiamo che potrebbe essere presente in altri Paesi, ma nel Regno Unito vi è una concentrazione. Potrebbe avere avuto origine qui, non lo sappiamo per certo». La nuova variante consta di diverse mutazioni: la principale è la “N501Y”, a livello della proteina spike.
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«Quella “inglese” non è la prima mutazione del coronavirus a cui assistiamo — sottolinea al Corriere Carlo Federico Perno, direttore dell’Unità di Microbiologia all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma —. Pensiamo alla «D614G», che è comparsa a marzo anche in Italia e a giugno è diventata dominante in tutto il mondo, rendendo più veloce la trasmissione e spiegando anche in parte la seconda ondata. Sono state descritte anche altre varianti, in Sudafrica ed Estremo Oriente. Sappiamo però che Sars-CoV-2 è un virus abbastanza stabile (come dimostrato da un lavoro che abbiamo pubblicato su Nature), può modificarsi ma solo all’interno di un “recinto” ben delimitato.
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Al contrario per i virus Hiv e Hcv non si è ancora riusciti a mettere a punto un vaccino, dato che hanno una capacità di mutazione illimitata». La grande maggioranza delle variazioni messe in atto dal coronavirus (rilevanti per la capacità di replicazione virale) riguardano la proteina spike, grazie alla quale si lega alle cellule umane tramite il recettore ACE2. «Il virus cerca di scappare all’attacco del nostro sistema immunitario, creando varianti “invisibili” agli anticorpi — prosegue Perno —, per questo deve agire sulla spike. L’obiettivo finale, comune a tutti i virus, è quello di migliorare la propria efficienza replicativa».
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«Ora bisogna accelerare le campagne vaccinali»
La domanda che molti si fanno in questo momento è: i vaccini anti-Covid sono efficaci anche contro il nuovo ceppo? «La comparsa della mutazione (chiamata VUI-202012/01, ndr) dovrebbe portare a un’accelerazione delle campagne vaccinali, accompagnate da studi sulla produzione di anticorpi successiva alla somministrazione delle dosi previste — sostiene Perno —. È possibile studiare l’efficacia dei vaccini sulla variante anche in laboratorio, tramite i cosiddetti “test neutralizzanti”, ma credo che in questo momento sia più utile concentrarsi sui programmi di vaccinazione, verificando poi se gli anticorpi che l’organismo produce sono protettivi. Potremo avere prova di questo osservando se i soggetti vaccinati verranno infettati dal nuovo ceppo di Sars-CoV-2: se questo avverrà saremo di fronte a una brutta notizia. Per ora la variante “inglese” sta convivendo con quella che conoscevamo e non è diventata predominante, ma ciò potrebbe accadere in futuro: abbiamo ancora la possibilità di fermarla con le misure restrittive e, speriamo, anche con i vaccini».
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Galli: verosimile che ceppo si sia già diffuso
Massimo Galli, primario di Malattie infettive all’ospedale Sacco e professore all’università Statale di Milano invita alla calma: «È chiaro che questa questione va meglio definita. Non abbiamo ancora una pubblicazione scientifica, solo sintetici rapporti, ma saremmo di fronte a una variante che non è più cattiva di quelle che già circolano, ha forse una maggior capacità più diffusiva tanto è vero che si sta affermando in Gran Bretagna. Le prime sequenze risalgono al 20-21 settembre: temo sia verosimile che Oltremanica ne sia passata un bel po’. Si muore di più? Solo se ci ostiniamo a non stare attenti al virus, a prescindere dalla variante».
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E sui vaccini: «Non credo che questo ceppo sia in grado di rendere i vaccini inutili, non mi fascerei la testa — ha sottolineato Galli ospite all’Aria che tira, su La7 —. Semmai questa cosa ci dà un segnale importante: dobbiamo vaccinare il più rapidamente possibile il maggior numero di persone e dovremo stare molto attenti a quello che succederà. Ci sono molte condizioni che potrebbero metterci nella situazione di correre dietro al virus con vaccini diversi (come accade per esempio con l’aninfluenzale, che va ripetuto ogni anno, ndr), ma è una logica che spero non riguardi un futuro prossimo».
Il problema delle infezioni asintomatiche
«Di varianti ne sono state individuate già una dozzina, ci aspettavamo che prima o poi una avrebbe iniziato a circolare — aggiunge Fabrizio Pregliasco, virologo all’Università degli Studi di Milano e direttore sanitario dell’Istituto Ortopedico Galeazzi, in un’intervista all’Agi —. Le varianti fanno parte dell’adattamento del virus all’ospite, questo ceppo ha trovato un meccanismo di aggressione più efficace. Ha una contagiosità maggiore e quindi una capacità diffusiva maggiore ed è questo che preoccupa, ma non stupisce. La capacità infettante è la stessa».
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L’impatto del nuovo ceppo sul vaccino? «È prematuro pensare che possa avere un’azione negativa sulla vaccinazione — chiarisce l’esperto —. Bisogna vedere dove sono esattamente le variazioni genetiche e come incidono sugli anticorpi. Questi virus si replicano in modo sistematico, non correggono gli errori di replicazione che potrebbero rappresentare una caratteristica vantaggiosa. La peculiarità del virus, anche di questo mutato, che lo rende perfido, sta nel fatto che la gran parte delle infezioni sono inapparenti. Va dato atto comunque che, rispetto al passato, i nostri laboratori hanno grande capacità di monitorare le variazioni e la tempistica delle informazioni è molto più rapida, all’avanguardia».
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La proteina «spike» e gli anticorpi
È ottimista anche Giovanni Maga, direttore dell’Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche. «Dovremo aspettare i risultati delle prove scientifiche, ma sappiamo che i vaccini contengono l’intera proteina spike, che quando entra nel nostro organismo viene fatta a pezzi: ciascuno di essi può funzionare per indurre la produzione di anticorpi. Quindi è molto difficile che modificazioni in una sola porzione della proteina possano causare una completa resistenza ai vaccini.
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Non c’è nulla di sorprendente nell’aver trovato una variante, non è la prima e non ci sono evidenze che questa sia più cattiva — ha aggiunto Maga —. È considerato altamente improbabile che il vaccino possa avere difficoltà a indurre una risposta protettiva, proprio perché utilizza una proteina che ha delle regioni molto ben conservate che non cambiano. Per cui nessun allarme».