Francesco Piccolo per La Lettura – il Corriere della Sera
bojan
Se c' è una cosa che più di ogni altra spiega l' epicità dello sport, è questa: vincitori e sconfitti, campioni e falliti, sono allo stesso modo materia di racconto.
C' è l' epica di Ronaldo che vola oltre la traversa per colpire di testa e c' è l' epica di chi era famoso per sbagliare gol a porta vuota.
C' è l' epica del primo, del secondo, dell' ultimo e perfino del penultimo. C' è l' epica di chi la finale l' ha vinta e di chi l' ha persa - il Brasile che perde il mondiale in casa contro l' Uruguay, e la leggendaria testata di Zidane a Materazzi; Bitossi che perde il mondiale di ciclismo sulla linea del traguardo, e Basso che vince superando di un centimetro Bitossi.
ivanisevic
C' è l' epica dei vincenti, dei perdenti, degli eterni secondi, di quelli che hanno subito dodici gol in una partita e dei portieri imbattuti per mesi. Ogni gesto, esemplare o fallimentare, ha la potenza del racconto.
E poi c' è qualcuno che riesce a tenere insieme le due cose: i grandi campioni che poi sono caduti, che alla fine hanno fallito. Che hanno vinto e poi hanno perso, e molte volte si sono soprattutto persi.
È quello che racconta La caduta dei campioni (Einaudi), scritto da «l' Ultimo Uomo» il nome collettivo che firma questo libro: è il titolo della rivista online che raccoglie un gruppo di appassionati, competenti (pubblicano saggi esemplari di tattica calcistica) che crede alla narrazione dello sport e che la costruisce con quella ossessione fanatica ma lucida. Ne fanno parte scrittori, giornalisti, blogger. Ci sono racconti di pallanuoto, tennis, basket, ciclismo. Ma soprattutto di calcio.
Ivanisevic goran
Si narra la storia di Bojan che viene preso dalla nausea fin da quando ha 17 anni, essendo il predestinato del Barcellona (ancora più di Messi) e però non sapeva che giocare insieme ai campioni e avere la responsabilità del talento gli avrebbe causato conati di vomito, e alla fine riuscirà a esprimersi al meglio solo nelle amichevoli o in una squadra canadese lontana dai riflettori
(ma c' è anche l' epica del gol annullato in Champions contro l' Inter, che forse avrebbe cambiato il suo destino); di Adriano che, dopo aver preso a pallonate porte e portieri, diventa depresso, grasso e alcolizzato per la scomparsa del padre;
la caduta dei campioni cover
di Pantani fermato prima da auto che lo hanno travolto involontariamente nel momento migliore, e poi rovinato da un prelievo, da sé stesso, ma soprattutto da qualcuno che vicino casa, una volta che era andato a fare una sgambata in bici per capire se poteva tornare a correre, gli urla «drogato» e lui torna in lacrime (e poi tutto il resto che sappiamo - ma chiunque parli di Pantani non sa, non vuole e non può accusarlo di nulla).
MARCO PANTANI VINCE IL TOUR DE FRANCE
Ivanisevic ha detto una volta che il tennista ha cinque nemici: il giudice di sedia, il pubblico, i raccattapalle, il campo e sé stesso. E l' avversario? - qualcuno gli ha chiesto.
C' è anche quello, ha risposto, ma è il problema minore. Ecco, se si legge questo libro molto interessante, ci si accorge che per la maggior parte dei talenti che si sono rovinati, i nemici sono esattamente quelli elencati - con al primo posto sé stessi, e davvero soltanto ultimi gli avversari.
Si possono aggiungere anche i centimetri o i centesimi, che hanno reso felice e infelice una grande nuotatrice come Ruta Meilutyte, che prima ha vinto molto e poi ha perso altrettanto: «Se si gareggiasse sui centocinque metri, sarebbe spacciata: ma Ruta resiste e tocca per prima, per otto centesimi. E se non capite la violenza di giocarsi una vita di fatica e sacrificio, un primo o un secondo posto sulla base di otto centesimi di secondo, lo sport non fa per voi».
AGASSI
Quasi tutta la storia degli sport è determinata da una palla da basket che si è infilata dopo essere rimbalzata due volte sul ferro, da una pallina da tennis che ha toccato il nastro ed è finita di là o di qua, da una deviazione in porta, da un dito che ha toccato il bordo vasca un millimetro prima di un altro, da un' asticella che ha danzato prima di cadere o restare in alto. E da quei sé stessi con i quali bisogna lottare o convivere o saperci avere a che fare.
Quando Ruta ha deciso di uscire dalla piscina per sempre, ha dichiarato con semplicità: «So che tutti hanno amato le mie vittorie, ma nessuno riesce a vedere la persona timida e spaventata che c' è dietro a questi successi». Ed è questo, alla fine, ciò che viene fuori da La caduta dei campioni : la convivenza a volte impossibile tra una persona e il proprio talento, tra la costanza e la determinazione che necessitano, e le fragilità emotive che compaiono e a volte sono invincibili.
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Una volta Ratko Rudic, grande allenatore di pallanuoto, ha dato la definizione più convincente di che cosa sia un campione: ha detto che non è colui che fa qualcosa di eccezionale (o almeno non è questa la sua caratteristica principale); ma è colui che negli ultimi minuti di una gara si comporta, gioca e pensa allo stesso modo di come si è comportato, ha giocato e ha pensato nei primi minuti o durante l' allenamento o nel corso di un' amichevole. Tutti calano nei momenti decisivi, tranne il campione che continua a pensare e fare come sempre. Quindi non è qualcuno che fa di più ma è qualcuno che non fa di meno - come capita a tutti, a un certo punto.
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E infatti, a pensarci bene, è questo che ammiriamo, in fondo, quando siamo seduti davanti alla tv: ci chiediamo come sia possibile che chi doveva fare il punto decisivo non abbia tremato, come sia possibile fare un passante lungolinea per annullare un match point, o fare il tempo migliore della propria carriera proprio il giorno della finale olimpica. Quello che ci sembra incomprensibile, è il vero miracolo.
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Quindi, se la definizione di Rudic è valida, allora vuol dire che il vero avversario del proprio talento è la personalità. Ed è esattamente quello che alla fine di queste dieci storie esemplari si comprende, un po' soffrendo e un po' provando un' empatia per chi si è sfilato e vive altrove, lontano dal campione che era (ma purtroppo, come per Pantani, i finali sono anche tragici).
E la sintesi di tutto rimane il libro di Andre Agassi scritto con J. R. Moheringer, Open , che racconta che si può vincere Wimbledon e intanto odiare il tennis, perché non si sarebbe scelto. E qui c' è la storia del russo Marat Safin, un altro predestinato, che dichiara lo stesso tormento: «Mia madre mi ha gettato subito nel tennis. Non volevo giocarci per niente. Per tutta la vita ho desiderato giocare a calcio. Ma mia madre, lei sapeva cos' era meglio per me».
ITALIA GERMANIA BARGNANI
Safin si è fatto eleggere in Parlamento, pur di scappare ed essere un altro. La caduta dei campioni racconta storie di fobie, tremori e solitudini. Angosce, incapacità di ripetersi, spavento per dove si è arrivati.
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Ma c' è perfino una storia di mancanza di emotività, di freddezza, che riguarda Andrea Bargnani, il giocatore di basket che ha spento il proprio talento per indifferenza. Ci sono storie di povertà che si fa ricchezza troppo improvvisamente. Di ribellioni, indisciplina e voglia di fuggire. Di salite e discese, e di fallimenti. Ma i nomi dei campioni caduti, o anche falliti, restano nomi di campioni, sempre. E questo libro ne è la testimonianza.
Marco Pantani pantani, 10 anni dalla morte del pirata 2 marat safin safin rudic