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    NON È MAI TROPPO TARDI PER CONDANNARE UN BOIA - IL TEDESCO JOSEF SCHÜTZ, EX CAPORALE DELLE SS E FINO AL 1945 GUARDIANO DEL LAGER SACHSENHAUSEN, A OVEST DI BERLINO, È FINITO A PROCESSO A 101 ANNI CON L'ACCUSA DI AVER MANDATO A MORTE OLTRE 3.500 EBREI E OPPOSITORI POLITICI: AL MASSIMO SI BECCHERÀ UNA PENA SIMBOLICA - L'IMPUTATO NON HA NEMMENO GUARDATO NEGLI OCCHI I SOPRAVVISSUTI ALL'OLOCAUSTO PRESENTI IN AULA, NASCONDENDOSI DIETRO UNA CARTELLINA BLU, E NON HA VOLUTO PARLARE DI QUEI CRIMINI...


     
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    Letizia Tortello per "La Stampa"

     

    josef schutz ex nazista a processo 7 josef schutz ex nazista a processo 7

    Quell'ingranaggio nella macchina nazista aveva poco più di 20 anni quando mandò a morte 3.518 persone. I prigionieri sovietici del campo di Sachsenhausen li fucilò, era il 1942. Dall'anno successivo, quando venne installata la camera a gas, si curò che gli altri, ebrei, omosessuali, oppositori politici, morissero di fame o per debilitazione fisica, o venissero gasati con lo Zyklon B.

     

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    Josef Schütz, ex caporale della divisione Totenkopf (testa di morto) delle SS e guardiano del lager a Ovest di Berlino fino al '45, ieri non ha avuto nemmeno il coraggio di guardare in faccia i sette sopravvissuti all'Olocausto e i nove parenti delle vittime, che erano in Aula per l'inizio del processo a suo carico.

     

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    Li voleva sterminati. Ora, all'età di 101 anni il prossimo novembre e dopo ottant'anni da quei crimini, si è finalmente seduto sul banco degli imputati. Ma non ha detto una parola. Si è nascosto dietro una cartellina blu, come se il mancato contatto degli occhi potesse coprire la sua colpa.

     

    «L'accusato non si esprimerà» sui reati contestati, ha messo in chiaro l'avvocato, Stefan Waterkamp. Lui, in verità, un commento sulla sua situazione personale voleva farlo, riferiscono i media tedeschi. Ma alla fine ha taciuto.

     

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    E probabilmente lo farà per i prossimi ventuno giorni di processo, nel tribunale regionale della città di Neuruppin, nel Brandeburgo dove l'ex caporale nazista vive, vedovo da trent'anni.

     

    I giudici gli hanno concesso di presenziare in un'Aula allestita vicino alla sua abitazione, e per non più di due ore al giorno. Rischia tre anni di carcere per 3.518 omicidi, ma otterrà probabilmente una pena simbolica, vista l'età avanzata.

     

    Una sentenza incredibile, che viaggia su binari totalmente diversi rispetto alle atrocità commesse. Un caso simile a quello che l'anno scorso vide condannato a due anni con la condizionale il 93enne Bruno Dey, ex collega di Schütz, guardiano del campo di internamento di Stutthof, ritenuto responsabile di 5.232 morti.

     

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    Mentre la segretaria di quel lager, Irmgard Furchner, 96enne, ha provato a fuggire in taxi negli scorsi giorni pur di non presentarsi al processo, ma è stata presto arrestata. Eppure, secondo i cacciatori di nazisti, «ha ancora senso individuare e perseguire uomini e donne, anche piccoli ingranaggi della macchina della morte» voluta dal Führer, spiega il procuratore generale Thomas Will, a capo dell'Ufficio centrale per le indagini sui crimini del nazionalsocialismo, istituito nel 1958.

     

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    Negli ultimi dieci anni, la Germania ha giudicato e condannato quattro ex SS e ha esteso ai guardiani dei campi di concentramento e ad altri collaboratori a vario titolo l'accusa di complicità in omicidio. Tra pochi anni, però, potrebbe non esserci più nessuno da processare. O se gli assassini saranno vivi, forse non saranno in condizioni di partecipare alle udienze.

     

    Nel caso di Josef Schütz, però, non si poteva anticipare, dicono gli inquirenti. Perché «l'imputato non era noto prima che iniziassimo le ricerche negli Archivi militari russi», spiega Will all'emittente tedesca «Deutsche Welle», saccheggiati dopo la fine della guerra e portati a Mosca, desecretati solo pochi anni fa.

     

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    «Prima abbiamo trovato la sua residenza - continua -. A marzo 2019 dopo indagini preliminari sui dati anagrafici e sul servizio al campo di Sachsenhausen, abbiamo consegnato il fascicolo al pubblico ministero». Ed ecco che si è arrivati al 2021, quando il torturatore nazista ha raggiunto l'età di quasi 101 anni.

     

    Sono 17 le persone con presunti ruoli nella macchina della morte dei lager, sulle quali stanno indagando le procure tedesche. Nessuno ha meno di 95 anni. Fino a un decennio fa, per perseguirli era necessaria la prova del coinvolgimento personale negli omicidi, e infatti molti ex collaboratori erano comparsi nei processi degli Anni 60 e 70 solo come testimoni.

     

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    Le cose sono cambiate nel 2011, con la sentenza contro l'ex SS John Demjanjuk. Da allora, avere servito in un lager rappresenta di per sé una complicità punibile, a condizione che si arrivi al processo con prove pertinenti.

     

    Dal 1936, data della fondazione, al 22 aprile 1945, giorno della liberazione da parte dei sovietici, da Sachsenhausen sono passati 200 mila prigionieri. Decine di migliaia sono stati fucilati, gasati o sono morti durante orribili esperimenti pseudo-scientifici, o semplicemente di malattia. Questo ha visto con i suoi occhi e ha contribuito a decidere Josef Schütz, l'ultracentenario che oggi, infermo, vuole nascondersi dietro a una cartellina.

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