Alberto Mattioli per “la Stampa”
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Quest’anno a Sanremo ci sono tre vallette, due delle quali non sono vallette ma fanno le vallette. E ovviamente malissimo. Questo delle co-conduttrici, come da politically correct, o dei «gioielli, fiori, gioie», come da sdilinquimenti del bravo presentatore, è uno dei paradossi del Festivalone e l’ennesima conferma che la gestione Conti non è affatto l’eterno ritorno del sempre uguale baudesco come da vulgata giornalistica.
La bruna e la bionda. In effetti, l’unica cosa che Arisa ed Emma hanno in comune con le vallette del Sanremone classico è che sono una bruna e l’altra bionda. Ma, almeno in teoria, non dovrebbero ricoprirne il ruolo tradizionale, cioè portare abiti griffati e microfoni, annunciare titolo-cantante-autori-direttore, farsi ammirare dagli italiani medi, farsi invidiare dalle italiane medie e divertire gli uni e le altre con le loro papere. L’idea di Conti era quella di non scegliere le solite modelle o attrici o conduttrici bellone ma due cantanti, entrambe ex vincitrici del Sanremone.
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Curiosamente, però, le due non fanno l’unica cosa che teoricamente saprebbero fare, cioè cantare. Finora hanno duettato solo in una versione desolata del Carrozzone. In compenso, hanno bisogno di leggere il gobbo anche per dire «Buonasera». E sembra che scendere una scalinata con i tacchi sia più difficile che salire l’Everest senza maschera.
Da Arisa ci si aspettava un tocco surreale, da quel cartone animato in carne e ossa che era quando si appalesò per la prima volta a Sanremo.
Invece risulta non pervenuta, esattamente com’è avvenuto la prima sera al suo reggipetto, scatenando le reazioni scomposte sia del suo seno che dei social network. Forse è colpa del fatto che, come ha fatto sapere ieri a mezzo stampa alla Nazione, Arisa attualmente «ha le sue cose» e si è anche presa una storta. Dal canto suo, Emma ripete continuamente di essere «una terrona», come «Charlize Terron» (ah, ah, ah, battutona), il che non è un merito, non è una colpa e in nessun caso può essere una professione.
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Il caso di Rocío Muñoz Morales è diverso. La spagnola corrisponde perfettamente alla fattispecie vallettesca consolidata: straniera dunque esotica, bellissima ma non volgare, così magra che può fare la doccia senza bagnarsi e fidanzata con un bonazzo locale come Raoul Bova con tutti i conseguenti immancabili gossip. In più, qualcosa saprebbe pure farlo, per esempio ballare. Purtroppo è stata massacrata dagli autori, che o le fanno declamare surreali proverbi spagnoli o blaterare di argomenti appassionanti come i gamberetti di Sanremo. Poi, sia lei, l’ittiologa, che Emma la meridionalista si commuovono ogni due per tre. Rocío ha pianto dopo aver ballato sulle note di Mango, Emma dopo aver cantato con Arisa Il carrozzone (e qui magari avrebbe avuto più motivi di piangere Renato Zero).
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Quale modello
Resta da capire quale sia il modello femminile proposto quest’anno dal Sanremone. Finora, in effetti, abbiamo visto di tutto: Charlize, la diva hollywoodiana in tutto il suo abbacinante splendore (intervistandola, Conti ha fatto l’ennesima lampada) e Conchita la donna barbuta; la Tatangelo ormai quasi approdata alla sospirata signorilità da quartieri borghesi e la Ayane con l’apparecchio sui denti perché tanto l’importante è la musica;
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un po’ di ragazzine intercambiabili tipo la Atzei e una vera signora come Platinette, sublime ieri sera in partenza per Alghero come una Franca Valeri baraccona. Su tutte, splendida per gambe e voce è Nina Zilli. Le resta solo da imparare a vestirsi oppure decidere se svestirsi del tutto, e sarà perfetta.
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