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    “NON ESISTE NESSUNO COME NOI” - I POOH SPIEGANO I MOTIVI DELLA REUNION: “CI SIAMO RIMESSI INSIEME PER L’INSISTENZA DEI NOSTRI FIGLI, AUTENTICI ROMPICOGLIONI. L’OSPITATA A SANREMO ERA UN TRAPPOLONE, CE NE SIAMO RESI CONTO TROPPO TARDI - DA 57 ANNI SIAMO POP, CHE VUOL DIRE POPOLARI: SIAMO UN SUONO, UN MECCANISMO ARMONICO CON MATRICE NON SOLO ITALIANA, A VOLTE RICONOSCI UN PO’ DI BEATLES, UN PO’ DI BEE GEES" - "NEL 1990, ALCUNI CRITICI MUSICALI IN PARTENZA PER SANREMO, DISSERO: “I POOH LI MASSACRIAMO”. POI VINCEMMO IL FESTIVAL CON “UOMINI SOLI” – VIDEO


     
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    Maurizio Crosetti per “la Repubblica” - Estratti

     

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    A un certo punto dell’intervista, per spiegarsi meglio i Pooh cominciano a cantare. Brividi. E così, nella sala in penombra dell’albergo s’alzano e si allargano, all’improvviso, le tre famose note di Parsifal , quel “mi/fa/la” che da mezzo secolo è quasi una sigla esistenziale dei «Pooh che sono altro dai Pooh», cioè, in definitiva, loro stessi profondamente. Era il 31 agosto 1973 e quell’album segnava una strada senza ritorno. Eccoli ancora qui, i ragazzacci in sospetto di eternità.

     

    Roby Facchinetti socchiude gli occhi. (...) Io penso che i Pooh siano qualcosa di fenomenale, sinceramente non esiste nessuno come noi, è la realtà. Perché essere band è difficile, faticoso. Ci siamo rimessi insieme per l’insistenza dei nostri figli, autentici rompicoglioni. L’ospitata a Sanremo era un trappolone, ce ne siamo resi conto troppo tardi ma va bene così. La gente conosce le nostre canzoni meglio di noi, ci fa sentire classici senza essere vecchi, perché noi evochiamo le loro vite che poi sono le nostre, così come nostri sono i loro ricordi».

     

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    Dodi Battaglia, gli occhi li ha accesi.

     

     

    (...) I Pooh sono un classico, un must indispensabile per comprendere mezzo secolo di musica italiana: chi non lo voleva ammettere, poi ha chiesto venia. Purtroppo, con noi non ci sono più Valerio Negrini e Stefano D’Orazio, cioè le nostre parole. Senza di loro avevamo smesso di cantare, ed ero sicuro che non saremmo più tornati. In fondo, si stava così bene senza rimettersi a faticare “con quelli là”… Poi, però, è successo. I Pooh sono un meccanismo armonico con matrice non solo italiana, a volte riconosci un po’ di Beatles, un po’ di Bee Gees. Siamo un mix di maniere di esistere.

    E da 57 anni siamo pop, che vuol dire popolari: a qualcuno è sembrato imperdonabile, a noi invece è sembrata la nostra anima».

     

     

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    Red Canzian, con gli occhi lui sorride. «Entrai nella band proprio per Parsifal e fu un onore grande. Doppiavo i violoncelli, tendevo a suonare sempre troppo basso perché ero “un bassista con la sindrome dell’ottavino”. Parsifal lo chiamavamo “un maiale per Ringo” per via dell’atmosfera un po’ western, alla Morricone.

     

    Quel disco è una pagina musicale meravigliosa e dimostra che i Pooh sono eterni perché sono sempre stati fuori moda. Parsifal non può invecchiare, ha una struttura classica e un testo coinvolgente, spiazzante, anni luce avanti rispetto all’epoca in cui nacque. Eppure voi giornalisti, razza brutta, non ci capivate, non ci filavate. Quanti pregiudizi su di noi. Per carità, con Pensiero e Tanta voglia di lei comprammo case e automobili, però eravamo anche altro. Nel 1990, alcuni critici musicali in partenza per Sanremo, si ritrovarono a Milano Centrale e dissero: “Eh, i Pooh li massacriamo”. Poi vincemmo il Festival con Uomini soli . Cosa siamo? Tu ascolti tre note e pensi, “ecco, questi sono i Pooh”.

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    Siamo un suono. Quando, nei concerti, può capitare di perdere qualche parola, leggiamo il labiale degli spettatori e le ritroviamo, perché la gente conosce le nostre quattrocento canzoni meglio di noi: 60 mila watt di potenza acustica non riescono a superare la forza del canto del pubblico. Ci arrivano messaggi bellissimi, persone che ringraziano per il conforto e per l’aiuto e dicono: “Voi parlate di me”. Siamo normali, siamo figli di operai, andiamo al supermercato, viviamo nella quotidianità e il pubblico lo capisce. Siamo tornati insieme per merito di Francesco Facchinetti e Daniele Battaglia, ma anche per quei 30mila biglietti venduti in 24 ore, ora siamo arrivati a 230mila per 15 serate. Non era finita, anche se avevamo perso le parole».

     

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    Riccardo Fogli ha occhi timidi. «Lasciai i Pooh prima di Parsifal , ora li accompagno nei concerti, cantiamo insieme e cerco di non sbagliare. Provo a essere all’altezza. Vorrei suonare la chitarra, non ho fatto in tempo a diventare bravo come loro. La mia fortuna, adesso, è osservarli dalla giusta distanza, tenendo il tempo: mi aiuta seguire Red, io canto sempre vicino a lui che mi soccorre. Non vado in camerino e nelle pause tra un ingresso e l’altro mi sistemo in un piccolo gazebo accanto al palco, e li guardo. In un certo senso è la mia doppia vita».

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