Tuttosport intervista l’allenatore della Dinamo Kiev, Mircea Lucescu. A 77 anni ha deciso di continuare ad allenare la squadra, nonostante il dramma della guerra in Ucraina.
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«Ho forti dolori alla schiena e alle anche dovuti alle tante ore che devo passare in pullman quando ci spostiamo dalla Polonia ai campi di Kiev, Leopoli, Kryvyi Rov, Mynav, Uzgorod e Kolos dove ancora si può giocare il nostro campionato. Chi me lo fa fare? Non posso tradire questi ragazzi. Mi voleva il Fenerbahce, ma ho detto no. Il mio posto è là. Anche se quello che sta accadendo ha dell’inverosimile. Dopo quasi un anno di guerra sembra che tutto sia ormai normale, assuefatto e nemmeno si parla più della vita negli stadi ucraini».
Come si vive in Ucraina e come si può giocare a calcio? Lucescu racconta
«Con la paura. Ti guardi in cielo e non sai cosa può arrivare da un momento all’altro. Sentiamo i rumori degli aerei mentre siamo in campo e stiamo facendo le nostre partite ovviamente a porte chiuse, ma fin che non suonano gli allarmi giochiamo cercando di prestare massima attenzione al campo. Ci è capitato di dover aspettare anche un’ora nello spogliatoio prima di poter riprendere il match. Non so chi avrebbe fatto una cosa così al mio posto, ma io mi sento a posto nel fare quello che faccio».
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Lucescu commenta la scelta di De Zerbi, che invece ha lasciato lo Shakhtar Donetsk.
«Lui è giovane e ha preso la sua decisione, anche altri allenatori stranieri hanno abbandonato squadre ucraine negli ultimi due anni. A me era già capitato quando nel 2014 allenavo proprio lo Shakhtar e per la guerra nel Donbass fummo costretti a lasciare Donetsk per appoggiarci a Kiev dove ci allenavamo, avendo rimodernato un terreno facendolo diventare Centro Sportivo, poi giocavamo a Leopoli. Ho vissuto per anni sugli aerei, adesso vivo sui pullman, è normale che sia pieno di acciacchi. Nemmeno allora mi sono mai sognato di abbandonare questa terra, questo campionato. E quello che abbiamo vinto con i ragazzi mi ha ripagato di sacrifici e amarezze».
Siete stati anche i primi a giocare delle amichevoli in giro per l’Europa per portare il messaggio di pace, di chi fu l’idea?
«Mia. La scorsa primavera avevo anche chiesto allo Shakhtar di poter creare una squadra mista, con metà maglia loro e metà nostra, ma mi hanno detto di no. Ero arrivato a parlarne anche con Zelenski. Siamo andati avanti ognuno per la nostra strada, sono stati comunque momenti emozionanti, giocavamo per gli ucraini che erano sparsi per l’Europa, in particolare per nonne, mamme e figli piccoli perché gli uomini erano sul fronte a combattere dove ahimè sono ancora. Chissà mai quando finirà questa maledetta guerra».
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