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    NON OPERE, MA ‘ESPERIENZE’. NON IDEE, MA ‘MARCHI’: L’ARTISTA ERA UN DIO SOLITARIO, ORA È UN MANAGER PARA-GURU DEL MARKETING - NELLA ‘POWER LIST’ DEL MONDO DELL’ARTE CI SONO POCHI CREATIVI. CONTANO MOLTO DI PIÙ CURATORI, GALLERISTI, COLLEZIONISTI E SORELLE DI EMIRI


     
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    1 - L’ARTISTA MANAGER

    Tomaso Montanari per “la Repubblica

    cicciolina jeff koons 2 cicciolina jeff koons 2

     

    «Alter deus»: per Leon Battista Alberti l’artista è un secondo dio. Perché la pittura è una divina ri-creazione del mondo, e il ritratto è un genere quasi magico: ha il potere di far sentire presenti gli assenti, vicini i lontani, vivi i defunti. Nel mito è l’artista Prometeo — colui che plasma l’uomo con l’argilla — a rubare il fuoco agli dei, ed è l’architetto Dedalo a sfidarne l’autorità.

     

    E quando Gian Lorenzo Bernini tentò di uccidere il proprio fratello, perché lo scoprì amante della sua stessa amante, papa Urbano VIII scrisse che Gian Lorenzo non si poteva punire perché «uomo raro, ingegno sublime e nato per disposizione divina e per gloria di Roma a portar luce a questo secolo ». Né è solo la tradizione occidentale a riconoscere all’artista uno statuto speciale: in una storia tibetana, quando un bramino piange la morte di suo figlio bambino, il dio Brhama ordina di dipingerne un ritratto fedelissimo, perché solo attraverso questo doppio artistico il piccolo potrà resuscitare.

    damien hirst damien hirst

     

    E oggi? Pensiamo ancora che l’arte possa salvarci? Crediamo ancora che gli artisti siano esseri divini, o comunque straordinari, in grado di portare luce al nostro tempo? Pochi giorni fa, lo storico della letteratura William Deriesewicz ha scritto su «The Atlantic» che una simile idea sembra morta, per sempre: il posto del genio divino, imperviamente solitario, appare ora saldamente occupato da una figura radicalmente diversa, quella dell’imprenditore della creatività. Un mago, sì, ma del marketing: capace di creare non opere, ma «esperienze »; non idee, ma «marchi».

    Il mammut venduto per quasi nove milioni di sterline Il mammut venduto per quasi nove milioni di sterline

     

    Insomma, l’arte «non si rivolge più ad un’opinione pubblica, ma a dei clienti». È innegabile che ciò sia vero. Anzi, questa deriva ne ha innescata una analoga per l’arte del passato, nei confronti della quale siamo sempre più clienti passivi: per esempio attraverso le mega-mostre di cassetta (che in Italia hanno raggiunto l’apice proprio in questi giorni, nella mostra Tuthankamon Caravaggio Van Gogh di Vicenza).

     

    Lo storico Eric Hobsbawm si era espresso in termini assai simili già in una sua conferenza del 1996 (tradotta in La fine della cultura, Rizzoli, 2013): «il nostro concetto tradizionale di arte sta davvero scomparendo» perché l’arte non è più «una serie scollegata di creazioni artistiche personali. Persino l’ haute couture oggi non è più vista come il parco gioco di singoli brillanti stilisti. .. i grandi nomi diventano spot per le multinazionali che operano nel campo dell’ornamento generale del corpo umano... Nel nuovo vocabolario, «creativo» difficilmente indica qualcosa di più di un lavoro non esclusivamente di routine ».

     

    Maurizio Cattelan in studio con Jim Carrey Maurizio Cattelan in studio con Jim Carrey

    In un tale contesto è ovvio che gli artisti contino sempre di meno. Tra le più influenti figure del mondo dell’arte censite alla fine del 2014 da Art Review, gli artisti si contano sulle dita delle mani, dopo curatori, galleristi, sorelle di emiri e molto altro: e se uno prende la lista dei cento potenti del mondo secondo il Time, trova una sola artista (la settantenne Marina Abramovic, «divinità tutelare delle arti performative »).

     

    Nietzsche Nietzsche

    Ovviamente sarebbe antistorico contrapporre ad un artista creatore perché libero, un artista ridotto a creativo perché asservito al mercato. Negli ultimi cinquant’anni la storia dell’arte ha concentrato gran parte delle sue energie proprio nell’indagare il ruolo dei mecenati, dei committenti e delle botteghe: così che oggi non guardiamo più a Michelangelo senza vedere anche Giulio II, né Rembrandt ci appare comprensibile al di fuori delle dinamiche economiche dell’Olanda secentesca.

     

    MICHELANGELO MICHELANGELO

    Ma il punto cruciale è che le opere più alte della nostra tradizione sono scaturite dall’ attrito (non di rado violento) tra la libertà degli artisti e le aspettative dei mecenati. Non sbagliava Giuliano Briganti quando, per misurare la grandezza di un artista, si chiedeva se quell’artista «creò per quella società più di quanto essa stessa seppe suggerirgli». Ed è esattamente quel fatidico «più» ciò che sembra mancare oggi.

     

    Già nel 1963 Edgar Wind poteva constatare che «la fatica di comunicare con l’artista spetta al mercante, il quale spesso sopporta il peso di una responsabilità che né il mecenate né il pubblico vogliono ormai assumersi».

     

    Questo circuito puramente commerciale elimina del tutto l’attrito con la società, e assimila il rapporto tra artista e pubblico a quello tra Eco e Narciso: lo specchio dell’arte si limita a riflettere senza varianti l’immagine di una società narcisista.

    jeff koons jeff koons

     

    Anche il più apparentemente ‘apocalittico’ tra gli artisti oggi notissimi — il cinese Ai Weiwei, che nella classifica di Art Review occupa il quindicesimo posto — ha un rapporto ambiguo con la sua società: come hanno ben notato Alessandro Dal Lago e Serena Giordano ( L’artista e il potere, il Mulino, 2014): «la sua opposizione al regime e il suo talento sono innegabili. .. ma il denaro è stato capace di costruirgli un’autorevolezza mondiale che il regime. .. usa a proprio vantaggio».

     

    Né la colpa è solo degli artisti: come scrive ancora Wind, «abbiamo la pretesa che l’artista plasmi la nostra immaginazione, ma dimentichiamo che un artista non può lavorare una materia che non gli offre alcuna resistenza plastica».

     

    Ai Wei Wei, performance Ai Wei Wei, performance

    Se oggi nessuno pensa che Damien Hirst, Maurizio Cattelan o Jeff Koons siano davvero importanti, è perché vivremmo benissimo anche senza le loro opere: chiuse nelle gallerie e nelle case inarrivabili dei super ricchi, e dunque incapaci di suggerire un orizzonte diverso da quello del mercato. Il che non si può dire, paradossalmente, dei grandi cantanti pop: altrettanto consustanziali al mercato, ma capaci di esprimere (o, almeno, di mimare) un ben altro attrito con lo stato delle cose.

     

    AI WEIWEI BALLA GANGNAM STYLE AI WEIWEI BALLA GANGNAM STYLE

    Per non dire dei disegnatori satirici, ben altrimenti determinati ad incidere sulle coscienze: come si è appena, tragicamente, visto. Forse solo quando rinascerà una vera arte pubblica, interessata a cambiare il volto delle nostre megalopoli e la vita di coloro che ci vivono, ricominceremo a guardare agli artisti come divini creatori: e non come a simpatici, e irrilevanti, intrattenitori.

     

     

    2 - DALLA RIPRODUCIBILITÀ ALLA MERCE ESPOSTA NEI NUOVI MUSEI

    Franco Rella per “la Repubblica

     

    Don Delillo Don Delillo

    Il mito romantico dell’artista, genio solitario sfiorato dal vento dell’ala della veggenza o della follia, aveva fatto tramontare il mito dell’artista artigiano. D’altronde già Aristotele aveva riconosciuto, nel III secolo a.C. come Adorno nel ‘900, la capacità filosofica e conoscitiva dell’arte, di cui erano ben coscienti artisti e poeti con un’autocoscienza addirittura ipertrofica, come Dante o come Velázquez. Nietzsche dal canto suo aveva liquidato l’idea wagneriana dell’artista totale.

     

    L’artista, per Nietzsche, è colui che è in grado di dare una forma ai “frammenti di uomini” e all’”orrida casualità”, a cui l’uomo del moderno è condannato. Questo è stato il compito a cui si sono sentiti chiamati, i grandi artisti, i grandi poeti, i grandi narratori nella prima metà del Ventesimo secolo e per alcuni decenni del secondo dopoguerra. Se dovessi pensare a una periodizzazione relativa all’arte del moderno, partirei dagli anni Ottanta del XIX secolo per arrivare agli anni Ottanta del XX secolo, quando cambia la figura dell’artista e cambia anche il suo ruolo sociale.

     

    sheikha mayassa al thani sheikha mayassa al thani

    Walter Benjamin aveva legato la perdita dell’aura agli strumenti della riproducibilità tecnica. Paul Valéry l’aveva intravista già nell’idea di Museo, là dove opere di vario genere, di varia provenienza, di diverso valore si dispiegano davanti ai nostri occhi perdendo via via la loro individualità per assumere un’unica qualità, quell’”artisticità”, che oggi viene smerciata nelle innumerevoli mostre in cui le opere vengono esposte come in un outlet, e in cui ci si affolla come ai supermercati in tempo di saldi. Questa è, per così dire, l’efflorescenza del mercato che domina il mondo dell’arte, quello che è stato definito “il sistema dell’arte”.

    rosa de la cruz rosa de la cruz

     

    Il sistema è fatto da alcuni musei influenti, dalle aste, da alcune gallerie, dai collezionisti e dai loro consulenti, dalle biennali e da altre manifestazioni del genere che si vogliono, come ha detto Giulio Paolini in un’intervista a Repubblica (16 luglio 2012), testimoni dei valori imposti «dalla stringente attualità». In realtà l’arte che risponde alla stringente attualità è un’arte che si piega alla logica del tempo, alla logica dominante del nostro tempo. È in questo sistema che si muove l’artista, che oggi si fa imprenditore di se stesso all’interno delle leggi di un mercato che non viene messo in questione.

     

    La sua opera perde in singolarità, in quanto diventa strumento di autopromozione, ma anche di promozione del sistema stesso. Le dissacrazioni di Jeff Koons o anche di Maurizio Cattelan non sono la messa in questione della sacralità dell’arte, ma la riduzione dell’arte stessa al suo nudo statuto di merce. Quello che mi chiedo è se in questo contesto abbia ancora senso l’invito di Nietzsche, che si prolunga fino alle ricerche di Francis Bacon o di Mark Rothko.

    jennifer, don e mera rubell jennifer, don e mera rubell

     

    Nel romanzo di Don DeLillo, L’uomo che cade ( Einaudi 2008), su una parete, in un appartamento di Manhattan dopo l’11 settembre, stanno due nature morte di Giorgio Morandi. Bottiglie, brocche, scatole di metallo, che invitano a qualcosa senza nome, a «un’introspezione umana, oscura e inquietante». Uno dei personaggi, vede in queste bottiglie le torri. Il silenzio dei quadri di Morandi diventa un tramite all’orrore delle torri gemelle, un accesso all’indicibile.

     

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    Lo rappresenta. E se la donna, che abita questo appartamento, non vede in quelle bottiglie — che hanno elementi architettonici, di un’altra epoca, di un altro secolo — grattacieli con uffici, e quindi le torri gemelle, è perché vede più il là, oltre l’orrore e il dolore delle torri. Questi dipinti spingono infatti «verso qualcosa di più profondo delle cose e delle forme». In fin dei conti, conclude, «si parla di mortalità». In fin dei conti si parla «della condizione umana ».

     

    leon black leon black

    Dunque Giorgio Morandi e Paul Celan, che scrive: «Ma non dividere il No da Sì. /Dà alla tua parola anche il senso: /Dalle l’ombra». Più vicino a noi, per esempio, Anselm Kiefer, con le opere Die Orden der Nacht ( L’ordine della notte), o Schwarze Flocken ( Fiocchi neri) del 2006, che richiama appunto un verso di Celan, che rinvia appunto a quanto della “condizione umana” può emergere da una poesia, da un’opera d’arte.

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