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    NON PODEMOS PIU’ – MITOMANE O RIVOLUZIONARIO? S’AFFLOSCIA IL CODINO DI PABLO “EL COLETA” IGLESIAS. ERA CONVINTO DI VIVERE IN UNA PUNTATA DEL TRONO DI SPADE, VOLEVA USCIRE DALLA NATO E NEL FRATTEMPO SI È COMPRATO UNA VILLA CON PISCINA. ORA SI È DIMESSO DA VICEPRESIDENTE DEL GOVERNO PER CANDIDARSI A MADRID: 7% E RITIRO DALLA POLITICA. FORSE LA CHIAVE L' HA TROVATA LO SCRITTORE JAVIER CERCAS: “IGLESIAS HA UN SOLO PROBLEMA. NON È INTELLIGENTE COME CREDE DI ESSERE”


     
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    Aldo Cazzullo per il "Corriere della Sera"

     

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    E ra convinto di vivere in una puntata del Trono di Spade. Sosteneva di ispirarsi a Daenerys Targaryen, la Regina Khaleesi, che libera gli schiavi proclamando: «Non sono io che vi ho liberato, la libertà vi appartiene».

     

    Per alcuni Pablo Iglesias era un fenomeno, per altri un mitomane. Più banalmente: è nato rivoluzionario, è morto socialdemocratico.

    All' inizio lo accusavano di prendere i soldi da Chávez. Di sicuro si riconosceva nella sinistra latinoamericana, chiudeva i comizi cantando «El pueblo unido» a pugno chiuso, disprezzava apertamente Felipe González e il socialismo di casa; anche se porta il nome del fondatore - Pablo Iglesias, appunto - del Psoe.

     

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    Nei sondaggi Podemos è arrivato a essere il primo partito.

    Alla vigilia delle elezioni del 2016, Iglesias parlava di «Sorpasso» - in italiano, come nel film con Gassman e Trintignant che si schiantano in macchina - sui socialisti. Ma la realtà l' ha sempre deluso.

     

    Nel frattempo gli è successo di tutto. Si è lasciato con la compagna, un' altra star mediatica, la comunista Tania Sánchez, e ha fatto tre figli con un' altra donna, Irene Montero, promuovendola a numero 2 del partito. Ha perso il suo braccio destro, Juan Carlos Monedero, autore del saggio dal delirante titolo «Innamorarsi di un camminante delle nevi ma sposare un Lannister», accusato più prosaicamente di evasione fiscale e traffici finanziari con il Venezuela. Ha subito una scissione: Íñigo Errejón, già suo vice, ha fondato un movimento che ora a Madrid ha preso più del doppio dei suoi voti.

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    Soprattutto, Iglesias è il leader con il più alto tasso di disapprovazione: ha ancora i suoi fan, sempre di meno; ma il resto degli spagnoli lo detesta.

    Per anni ha continuato a vincere duelli tv - nei duelli tv è quasi imbattibile - e a cambiare linea. Dalla Revolución è passato al riformismo.

     

    Un po' come Tsipras, il premier greco che è stato il suo punto di riferimento reale, mentre Gramsci, Berlinguer, il Che e appunto la Regina Khaleesi erano quelli immaginari. Così ha smesso di proporre di uscire dalla Nato, nazionalizzare «le imprese strategiche», ristrutturare - cioè non pagare - il debito pubblico, riportare la pensione a sessant' anni. Non ha più detto che Felipe VI «ha l' unico merito di essere il figlio di un monarca scelto da un dittatore»; però si è presentato da lui in jeans, per la gioia dei fotografi. È andato al governo dopo aver chiarito che non sarebbero state toccate, oltre alle immagini del re, le basi militari e l' ora di religione. Ha elogiato i poliziotti ansiosi «di arrestare i banchieri ladri». La spregiudicatezza con cui ha alternato toni anarcoidi e rassicuranti, invettive e sorrisi è impressionante; ma è tutta dentro un tempo segnato dalla rivolta contro le istituzioni, i partiti, i sindacati, le élites anzi le caste, in Spagna particolarmente predatrici e corrotte a livelli pressoché italiani.

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    Iglesias non è antipatico, anzi. È un seduttore. Riconosce tutti i suoi interlocutori, o almeno è abilissimo a farlo credere: «Certo che mi ricordo di te». Si veste al discount e fa in modo che si sappia. Talora scioglie in pubblico i lunghi capelli per poi legarli nel codone da tanguero: «El Coleta» è il suo soprannome. Ha una percezione esagerata di se stesso. Discetta di strategia, evoca Machiavelli e Sun Tzu. È amico di Luca Casarini. Cita Toni Negri e Mario Tronti: «Ribellarsi è giusto; ma bisogna farlo bene, saperlo fare bene, imparare a saperlo fare bene, e questo è il compito di una vita».

     

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     Lo accusavano di aver fondato, più che un partito, una setta, dedita al culto di una personalità: la sua. Ha detto frasi tipo «sarò il primo leader spagnolo che parla inglese», «sono Davide contro Golia», «se avessimo fatto un altro dibattito avrei preso la maggioranza assoluta». I suoi lo adoravano. Le ragazze impazzivano. I suoi comizi avevano una forte carica romantica, quasi religiosa, come ha notato John Carlin sul País : «La figura di Iglesias coincide con quella di Gesù Cristo». Non a caso lui parlava di «poveri in spirito», «sale della terra» e «potenti da confondere». Orecchino, decine di braccialetti, barbetta incolta. Molto simpatico.

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    L' ha aiutato Ada Colau, sindaco di Barcellona, e lui ha promesso ai catalani un referendum per l' indipendenza che ovviamente non si farà mai. A lungo padrone dei social media, su cui i fan caricano tuttora video di Iglesias che combatte il male con la spada laser di Star Wars, Iglesias che si allena con la tuta di Rocky, Iglesias guerriero medievale che fa strage di nemici. Nel frattempo si è comprato una villa con piscina. Il vecchio Lula l' ha incoronato: «In Pablo rivedo qualcosa di me stesso da giovane».

     

    Ora si è dimesso da vicepresidente del governo per candidarsi a Madrid: 7% e ritiro dalla politica. Forse la chiave l' ha trovata Javier Cercas, lo scrittore, quando ha detto: «Pablo Iglesias è una persona molto intelligente. Ha un solo problema: non è intelligente come crede di essere».

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