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Il dj svedese Avicii, scomparso la scorsa settimana, aveva ripetutamente detto al suo team di manager che il suo frenetico tour lo avrebbe ucciso.
È quanto emerge nel recente documentario di Netflix “Avicii: True Stories”: nei filmati il 28enne dj trovato morto nella città di Muscat, in Oman, ripeterebbe che sarebbe morto se non avesse smesso di esibirsi.
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A girare il documentario è stato lo svedese Levan Tsikurishvili, da lungo tempo amico di Avicii, che ha seguito il dj per quattro anni, raccontando l’ascesa verso la fama.
Nonostante sia un racconto costellato di successi, parla anche di quando Avicii, nel marzo 2016, prese la decisione di fermare le esibizioni dal vivo: nelle immagini si vede il dj, che secondo GQ guadagnava 250mila dollari a serata, comunicare la decisione al team dei manager prima di rendere pubblica la notizia.
«Quando ho deciso di smettere, mi aspettavo qualcosa di completamente diverso. Mi aspettavo supporto, soprattutto considerando tutto quello che ho passato - dice il musicista a Tsikurishvili nel documentario - Tutti sanno che soffro di ansia e quello che ho provato. Non mi aspettavo che le persone avrebbero cercato di farmi pressione per fare più concerti».
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«Ho detto loro: non potrò più suonare, sto per morire - continua Avicii - l'ho detto tante volte. E quindi non voglio nemmeno fare i conti con il pensiero di fare un altro concerto». Secondo Expressen, avrebbe detto: «Sto andando nel panico, vado nel panico, per davvero, non sarò in grado di farlo, non funzionerà».
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Parole che, dopo la morte, suonano sinistre e che spiegano l’enorme pressione esercitata sull’artista nonostante i problemi di ansia e la sua battaglia con l'abuso di alcool.
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