Carlo Bonini per “la Repubblica”
GIUSEPPE CONTE DONALD TRUMP
La ricostruzione dell' appendice italiana del Russiagate con cui il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte esce dal suo arrocco introduce un dato dalle conseguenze politiche imprevedibili. Potenzialmente dirompenti. E, per altro, molto spiega dell' insistenza con cui, da tre giorni a questa parte, Matteo Renzi ha afferrato la vicenda. Per ridurla all' osso, infatti, Conte giustifica la sua scelta di autorizzare i due incontri di Roma (15 agosto e 27 settembre) del direttore del Dis Gennaro Vecchione e dei vertici delle nostre due agenzie di spionaggio e controspionaggio - Aise e Aisi con il ministro di giustizia William Barr e il procuratore Durham in forza di un "interesse nazionale" che mirava a verificare l' operato della nostra Intelligence nel biennio 2016-2017. Quando a Palazzo Chigi si avvicendarono Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.
GIUSEPPE CONTE E DONALD TRUMP
E, dunque, la fondatezza o meno del sospetto che, in quella stagione politica, la nostra Intelligence potesse essere stata istruita o comunque coinvolta nel dare un contributo alla costruzione del dossier destinato a screditare il neoeletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Quello appunto battezzato "Russiagate". Costruito intorno alle email hackerate sull' account di Hillary Clinton e veicolate alla campagna Repubblicana attraverso l' uomo chiave dell' affaire: l' enigmatico professore maltese Joseph Mifsud, frequentatore dei seminari della Link University di Roma, l' ateneo privato dove per molto tempo i dirigenti di vertice della nostra Intelligence hanno fatto la fila per tenere le loro conferenze.
gennaro vecchione
Raccontandola così, Conte accredita dunque la sua decisione non come un atto di genuflessione all' alleato americano o, insieme, di ricerca di legittimazione internazionale, ma come una mossa a specchio. Che, nell' estate appena trascorsa, vede la Casa Bianca di Trump e un premier in fase di transizione da un esecutivo giallo- verde a uno giallo-rosso, avvinti da un comune interesse politico.
giuseppe conte gennaro vecchione
Per Trump, ribaltare la lettura del "Russiagate" documentata dal rapporto Mueller-Fbi, trasformandosi da carnefice del candidato democratico in vittima di un complotto ordito dagli stessi democratici con la complicità di governi amici (tra questi, l' Italia del centro- sinistra). Per Conte, acquisire informazioni in grado, potenzialmente, di diventare merce di ricatto politico nei confronti dell' uomo - Matteo Renzi - e del Partito - il Pd - che, nel luglio scorso, erano ancora avversari e che, in due settimane, sarebbero diventati alleati.
gentiloni renzi
mifsud vincenzo scotti gennaro migliore
Sappiamo al momento come in questa House of Cards sull' asse Roma- Washington, manchi la pistola fumante. Sappiamo infatti che nelle loro due visite a Roma, gli emissari di Washington non sono stati in grado di produrre alla nostra Intelligence una sola evidenza, un solo straccio di prova - che non sia stato uno scartafaccio di stampate da Internet e ritagli di giornale - in grado di corroborare il sospetto di un appoggio o copertura dei nostri Servizi alle mosse sghembe del professore Joseph Mifsud nel periodo 2016-2017.
MIFSUD MANGIANTE BARR
Quando, appunto, l' Aise era guidata dall' uomo, Alberto Manenti, di cui il governo gialloverde ritenne di doversi sbarazzare per primo, e l' Aisi dal suo attuale direttore, Mario Parente (fu nominato nell' aprile del 2016). Così come sappiamo che, a dire delle nostre due agenzie di Intelligence, Mifsud era sempre stato considerato poco più di un millantatore.
WILLIAM BARR JOHN DURHAM
Non sono dettagli da poco. Perché una volta svuotato della sua sostanza - l' ipotesi che Trump fosse stato effettivamente vittima di un complotto internazionale cui partecipò l' Intelligence italiana dei governi Renzi-Gentiloni - dell' appendice italiana del Russiagate resta dunque solo lo svelamento del suo obiettivo che - a dire di Conte - era appunto sullo sfondo dei colloqui con gli americani. La verifica a posteriori della fedeltà/infedeltà dei nostri apparati e l' occasione di una resa dei conti con la stagione di Matteo Renzi. E, insieme a lui, di Paolo Gentiloni e dell' uomo che, nel 2016, aveva la delega all' Intelligence, il futuro ministro dell' Interno Marco Minniti.
Gennaro Vecchione
Non è necessario un indovino per immaginare che messa così, la storia avrà effetti politici forse ancor più imprevedibili. Quantomeno nel già complicatissimo rapporto tra il presidente del Consiglio e Renzi. Ma è altrettanto evidente che questa ricostruzione non esaurisce le domande cui Conte ha promesso di rispondere di fronte al Copasir, il Comitato parlamentare di controllo sui Servizi, non appena avrà trovato un accordo sul suo nuovo Presidente.
JOSEPH MIFSUD E Ivan Timofeev
Non si comprende infatti, pur volendo stare alla sua ricostruzione, come mai il premier abbia autorizzato il direttore del Dis a un incontro al buio con gli americani senza comprendere l' anomalia di un vis a vis tra l' autorità politica di un Paese estero e un alto dirigente della nostra Intelligence. Né si comprende come mai, se è vero, come Conte ora sostiene, che la visita di Barr e Durham venne chiesta attraverso canali diplomatici dal Dipartimento di Stato direttamente a Vecchione (cui lui poi diede semaforo verde), fonti diplomatiche americane, ancora due giorni fa, raccontavano al New York Times esattamente il contrario. Vale a dire che la diplomazia americana venne tenuta all' oscuro dei motivi delle visite in Italia.
gennaro vecchione annalisa chirico foto di bacco
Ci sarebbe anche un' ultima circostanza. Che la ricostruzione di Conte non smentisce, ma anzi accredita. Che nella partita del "Russiagate", Palazzo Chigi e Casa Bianca, nell' estate appena trascorsa, abbiano usato i Servizi per vicende che nulla avevano a che fare con la sicurezza nazionale.
gianni letta marco minniti (2)