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    UN PAESE FALLITO - NON SOLO I FRANCESI SI PAPPERANNO ALITALIA MA LI DOBBIAMO ANCHE RINGRAZIARE: POTREBBERO ASPETTARE CHE LA COMPAGNIA FALLISCA E PRENDERLA A POCHI EURO


     
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    Alessandro Barbera per "La Stampa"

    Per capire da che parte sta il manico del coltello ci sono due strade. Leggere i numeri di Alitalia, oppure compulsare la battuta del numero uno di Air France-Klm Alexandre de Juniac riportata ieri da Les Echos: «Anche se non è il migliore dei momenti le necessità finanziarie di Alitalia non sono colossali e alla nostra portata».

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    Cinque anni fa Jean Cyril Spinetta aveva messo sul piatto 1,7 miliardi di euro. Oggi, con il 25% già in tasca, per raggiungere la maggioranza ai francesi sono sufficienti fra i 100 e i 150 milioni. Ma se allora erano disposti ad accollarsi il debito di Alitalia, ora è tutta un'altra storia.

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    «Quel debito va ristrutturato», fanno trapelare le fonti transalpine. La compagnia dei capitani coraggiosi ha 1,1 miliardi di debiti consolidati, 500 milioni nei confronti delle banche, il resto sono impegni finanziari necessari a onorare gli ordini degli Airbus che la vecchia Air One di Carlo Toto ha girato alla nuova Alitalia.

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    In entrambi i casi i franco-olandesi chiedono garanzie: che il debito con le banche sia riscadenzato (se ne sta occupando Banca Leonardo) e che gli accordi con Toto vengano rivisti se non cancellati. Non è un caso se i francesi fanno comunque sapere che non intendono salire oltre il 50%, perché quella è la garanzia di non dover incorporare nel nuovo gruppo i debiti di Alitalia.

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    Cinque anni fa Alitalia aveva dalla sua lo Stato: comunque fosse andata a finire, un paracadute pubblico era possibile. Ed in effetti arrivò: fallita la privatizzazione, Prodi, poco prima di lasciare Palazzo Chigi, fu costretto concedere un prestito-ponte da trecento milioni. Questa volta il paracadute non c'è: se Alitalia finirà l'ossigeno, è improbabile che lo Stato o le banche intervengano.

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    I francesi sanno questo, così come sanno che è improbabile l'arrivo di concorrenti all'acquisto come Aeroflot o Ethiad: le regole europee dicono che nel caso in cui una compagnia venga venduta ad una extraeuropea, perderebbe automaticamente tutti i diritti di traffico regolati da accordi bilaterali. Insomma, in queste condizioni i francesi potrebbero essere tentati dall'attendere il fallimento di Alitalia e prendersi quel che ne resterebbe per pochi euro.

    Matteo ColaninnoMatteo Colaninno

    L'unica strada che ha il governo per mettere pressione ai francesi è sperare che Ethiad si faccia carico di parte dell'aumento di capitale. Per questo Letta, che nel frattempo dovrà dire la sua anche sull'imminente cessione di Ansaldo Energia ai coreani, andrà ad Abu Dhabi l'8 ottobre nella speranza di convincerli.

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    «Prenderemo in considerazione altre partecipazioni azionarie che ci diano valore aggiunto», diceva ieri l'amministratore delegato James Hogan, correggendo in parte le indiscrezioni che sembravano chiudere ogni porta. Ma nella migliore delle ipotesi il sostegno potrebbe valere il 15-20% delle quote.

    Oggi il ministro dello Sviluppo Zanonato incontrerà il presidente Colaninno e l'amministratore Del Torchio per capire se esistano margini per evitare una fusione punitiva, magari accelerando con il nuovo piano di riduzione dei costi che prevede 2.500 esuberi. Giovedì il ministro dei Trasporti Lupi sarà a Parigi per incontrare il collega francese. Sempre giovedì ci sarà il cda Alitalia. Del Torchio, voluto da Colaninno con il preciso compito di traghettare la società verso la fusione, ha l'ingrato compito di mettere gli azionisti di fronte alla realtà.

    GABRIELE DEL TORCHIOGABRIELE DEL TORCHIO

     

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