1. LA VIOLENZA DELLE GANG LATINE
Cesare Giuzzi per il Corriere della Sera
Per affondare nell' abisso di via Padova bisogna seguire le parole del Gato . «Qui è tutto calmo. I ragazzi stanno sempre dalle parti della Centrale, di via Padova, del parco Trotter. Fanno giri per controllare dove stanno questi finoc...figli di p... È una zona che controlliamo. Noi decidiamo chi sarà punito e chi no».
agguato piazzale loreto
El Gato è un ragazzo salvadoregno di 32 anni con i capelli scurissimi, arrivato a Milano da San Salvador con il nome di Josè Hernandez Cabrera. Lo hanno arrestato con l' accusa di essere il palabreno , il capo, della gang Barrio 18, i rivali degli Ms13, la Mara salvatrucha , quelli che qui, nello stradone che da piazzale Loreto arriva fino alla Tangenziale Est, non potevano neppure mettere piede. O avrebbero pagato con le coltellate. Una geografia di check point senza vessilli, bar e locali conquistati o proibiti.
In una guerra che per le strade di Milano ha lasciato dieci morti negli ultimi quindi anni.
L' ultimo si chiama Antonio Rafael Ramirez, aveva 37 anni, era dominicano. Due killer lo hanno azzannato come lupi all' esterno di un barbiere di via Padova. Lo hanno inseguito, gli hanno sparato e lo hanno accoltellato in piazzale Loreto.
Sbattendosene del traffico, fregandosene di chi passava di lì, ignorando persino le telecamere della Cariparma che hanno ripreso gli assassini mentre affondavano le lame.
Ramirez è morto ieri pomeriggio al San Raffaele dopo due giorni di agonia. E s' è portato dietro i segreti di un omicidio che, secondo le prime indagini, ha come sfondo lo spaccio di cocaina e una litigata fuori da un locale di dominicani di Rozzano, alla periferia Sud.
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Le belve sono andate a cercare Ramirez perché aveva sfidato la legge dei Trinitarios , la banda di dominicani della quale farebbero parte i due assassini. Perché in una città dove calabresi, serbi e albanesi trafficano cocaina a quintali, i pandilleros sgozzano per pochi etti di polvere bianca.
Via Padova è la strada simbolo del fallimento dell' integrazione senza regole. Quattro chilometri, una cinquantina di nazionalità. C' è una via Padova dove le cose hanno funzionato, dove la convivenza è possibile. Ma è quella oltre il ponte della ferrovia, perché per paradosso si sta meglio in periferia. Quello che qui chiamano l' inferno è racchiuso nei primi 100 civici della strada. Da piazzale Loreto fino a via Cavezzali. Dove via Padova incrocia via Conegliano, via Clitumno, via Chavez e via Arquà, succursali di disperazione e delinquenza. Non ci sono case popolari.
Chi oggi controlla i subaffitti di vecchie palazzine diventate alveari di monolocali, ha comprato in contanti quando gli italiani hanno deciso di lasciare queste strade e accontentarsi dei danee . Non che non ce ne siano, ma non sono la maggioranza. E allora i negozi hanno insegne spagnole, i menu delle rosticcerie slang sudamericani. Al bar Dublini ci sono due cinesi dietro al bancone, ma la musica è caraibica.
Ai tavoli peruviani, dominicani e boliviani svuotano birre come acqua minerale. Si beve talmente tanto che non si fa in tempo a riempire il frigorifero.
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E allora bisogna tenere i cartoni con le scorte impilati di fianco al bancone. Al Mago del Gelato, alla rotonda tra via Predabissi e via Giacosa, due peruviani e una donna sorseggiano alternativamente tè e birra in bottiglia. Hanno gli occhi gonfiati dall' alcol e parole quasi incomprendibili.
Adesso non si vedono i pandilleros che controllano lo spaccio e neppure gli egiziani e i marocchini che la sera si massacrano a coltellate nei giardini di via Arquà. Sono loro a controllare il grosso della droga. A dividersi i milanesi che passano di qui per un pippotto da quelli in cerca di piacere con un viado. Poliziotti e carabinieri raccontano a denti stretti di palazzi inviolabili.
Dove anche una lite tra ubriachi può trasformarsi in un assalto. Qui, nel ventre di via Padova, le pattuglie intervengono soltanto in coppia. Perché nessuno ha un censimento di chi viva in queste case. Ci sono travestiti e sfruttatori, latitanti, madri e padri che si rompono la schiena tra anziani da accudire e consegne a domicilio. Ci sono ragazzi appena arrivati dal Sud America e abituati alle regole della strada. Girano con il coltello e con le pistole: le hanno già usate per sparare ai marocchini, per strappargli qualche piazza di spaccio.
Ma c' è soprattutto via Padova. Meticcia, folle, eternamente incompiuta.
2. UNO SPARO ALL' ORA DELL' APERITIVO E VIA PADOVA RISCOPRE LA PAURA
Paolo Colonnello per la Stampa
agguato piazzale loreto
I «Defender» dei soldati vanno avanti e indietro con una certa regolarità anche adesso, che tutto è tornato tranquillo. Ma non hanno fatto in tempo ad arrivare sabato scorso, quando Antonio Rafael Ramirez, 37 anni, dominicano irregolare è stato colpito da diverse coltellate tra l' inguine e il torace e da un colpo di pistola alla schiena in piazzale Loreto.
Era l' ora dell' aperitivo e nella città dei grattacieli è scattato un campanello d' allarme che si è sentito lungo tutti i quattro chilometri di via Padova.
La direttrice che collega la strada dello shopping a più alta densità commerciale d' Europa (corso Buenos Aires) con gli ultimi quartieri dormitorio di via Adriano, contesi agli accampamenti dei nomadi, sorti intorno alle propaggini del Naviglio Martesana ancora punteggiato di ville signorili di fine '800. Laggiù in fondo, dove già s' intravedono le antenne Mediaset di Cologno Monzese.
cinema hard via padova
Perché Ramirez, prima di cadere più morto che vivo, è scappato per una ventina di metri da un negozio di parrucchiere di via Padova dove era iniziata la rissa con i suoi due assassini, probabilmente connazionali, rompendo - forse - una tregua che durava da almeno il 2010, quando qualche centinaia di metri più indietro scoppiò una mezza rivolta dopo che alla fermata dell' autobus 54 era stato ucciso un ragazzo egiziano a coltellate.
Tregua talmente rispettata negli anni, da fare di quest' ultimo tratto di via Padova, insieme a un pezzo di viale Monza e viale Brianza un nuovo polo modaiolo, ribattezzato con l' acronimo di «NoLo», ovvero «Nord Loreto», quartiere immaginario popolato da agenzie di modelle (non a caso a poche centinaia di metri da qui, funzionava il quartier generale di Lele Mora), agenzie fotografiche e localini o localoni ricercati, dal ristorante cinese con il rapporto qualità prezzo migliore della città, alla palestra di pugilato Heracles, dove sul ring si alternano cazzotti e musica classica, campionati di scacchi e jazz e di fronte alla quale funziona a pieno ritmo una discoteca di salsa e merengue rigorosamente frequentata da latinos.
I primi 500 metri di via Padova, dove sabato sera è avvenuto il fattaccio, in realtà sono stati da tempo conquistati dalla nuova Milano da bere che avanza, a macchia di leopardo, tra «apericene» e «sbatti» modaioli in quella che rimane pur sempre la strada dove è nata e vissuta una cantante di razza come Malika Ayane.
GUERRA TRA GANG LATINOAMERICANE A MILANO
I problemi cominciano nei tre chilometri rimanenti, dopo lo snodo fondamentale della via, il Trotter, antico sgambatoio per cavalli trasformato in parco con scuole per l' infanzia all' avanguardia, che separa la via Padova più «glamour» da quella più popolare e proletaria, punteggiata dai capannelli di bande di latinos e di maghrebini, dedite a piccole rapine o allo spaccio di droghe di ogni tipo.
GUERRA TRA GANG LATINOAMERICANE A MILANO
Qui, morfologia ed edilizia cambiano decisamente, sebbene non sia facile generalizzare in un quartiere storico di Milano, costruito sulle vestigia di antichi paesi (tra Gorla, Turro e Cimiano), dove tuttora resistono, all' avanzare dell' immigrazione di ogni tipo, anche tanti cittadini milanesi autoctoni, serviti da cinque supermercati che contendono la vendita di generi alimentari alle macellerie islamiche e i take away cinesi.
In questo coacervo di contraddizioni, dove si affacciano barbieri mediorientali (di solito sul marciapiede destro della strada) e ristoranti sudamericani di pollo fritto (lato sinistro), negozi cinesi di riparazioni cellulari e perfino negozi italiani di abbigliamento e scarpe, locali in cui si suona jazz e, verso il fondo, dove si agitano spogliarelliste, si muovono incessanti pattuglie di polizia e jeep di soldati, che in verità non hanno mai abbandonato questa zona fin dai tempi in cui la Lega Nord, almeno una decina di anni fa, aprì una sezione (chiusa poi per assenza di militanti) proprio a metà della via, non distante dalla sede di ben due moschee, o meglio di centri culturali islamici, uno più moderato l' altro più radicale, ma comunque ben distanti dai fondamentalisti del centro islamico di via Quaranta, periferia Sud della città, dove davvero si assiste al tentativo di trapianto di un pezzo di islam a Milano.
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Via Padova è diversa: rimanda immagini di una città che non esiste più, fatta di gente seduta fuori dai bar e da cortili di ringhiera animati. Dove però non è il dialetto milanese a dominare ma l' ispanico e il maghrebino, con sporadiche puntate in mandarino. È il regno della criminalità diffusa, del fuggi fuggi alla vista delle divise. Ma anche di un quartiere più integrato di quel che si creda nel tessuto urbano di una città complessa come Milano.
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Niente a che vedere con zone ben più «ca lde», come Bonola (San Siro) e Lorenteggio dove si è spostato il racket delle case occupate e dove i soprusi non si contano; o alla nuova frontiera della droga, il parchetto di Rogoredo, attaccato alla fermata del metrò e alla stazione dei treni, dove si smercia droga 24 su 24, diventato il supermercato degli stupefacenti della Lombardia, con prezzi imbattibili. È qui che forse dovranno attestarsi i presidi dei militari invocati da Sala.
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