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Alessandro Bocci per il “Corriere della Sera”
Racconta di non pensare al Pallone d'Oro forse perché ci pensa moltissimo e nel suo cuore di campione umile sa che è bene non farci troppo la bocca. Jorginho è nato in Brasile, gioca nella Premier League, il campionato più importante del mondo, ma è l'anima e la coscienza della squadra salita sul tetto d'Europa.
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La sua estate è stata da sballo con la Champions e la Supercoppa insieme al Chelsea, il premio della Uefa come miglior giocatore europeo dell'anno e i complimenti di Pelè, che in un post ha scritto parole incancellabili: «Sono un tuo fan». Ce n'è quanto basta per perdere la testa. Jorginho, invece, ce l'ha ben piantata sulle spalle perché non ha dimenticato le bocciature rimediate negli anni: «Sono state tante, soprattutto in Brasile. Ho dovuto combattere lo scetticismo e tapparmi le orecchie davanti alle critiche».
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Così in ogni intervista sente il bisogno di ringraziare Mauro Bertacchini, che a 13 anni lo ha trasformato da trequartista in regista cambiando la sua vita: «Ho cominciato studiando Pirlo e Xavi» e adesso che è il migliore del mondo nel suo ruolo e gli chiedono chi può essere il suo erede, promuove un po' a sorpresa Sandro Tonali.
«Mi rivedo in lui», dice presentandosi con i capelli biondo ossigenati, tributo alla pubblicità di una birra lanciata in Brasile dove l'azzurro sta cercando di recuperare un po' di quella visibilità mancata che è il suo cruccio. Jorginho si presenta anche con la gamba sinistra fasciata dal ginocchio alla caviglia «colpa di una botta fortissima presa domenica contro il Liverpool, ma sono pronto. Per non giocare la gamba me la devono tagliare», dice con il piglio di chi non è per niente appagato.
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La maglia dell'Italia, ormai, è una seconda pelle e dopo aver vinto l'Europeo, il centrocampista dei Blues non ha voglia di abbassare la guardia.
«Siamo tornati al posto che ci compete. Ma il difficile arriva adesso perché non siamo più una sorpresa. Tutti studieranno il modo per batterci e ogni partita ce la dovremo sudare. Bisognerà avere fame, restando umili, senza dimenticare che la nostra vera forza è l'unità del gruppo. Ci sono tante Nazionali che hanno giocatori bravi, ma non ne vedo neppure una con il nostro spirito».
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Il futuro è oggi, anzi domani: «Penso una partita alla volta. Ora sono concentrato sulla Bulgaria e so già che non sarà facile». Anche perché le ripartenze per l'Italia sono sempre complicate. Mancini ne ha vinta solo una in tre anni con l'Armenia, pareggiando due volte in casa con Polonia e Bosnia.
Adesso bisognerà vincere per il Mondiale. Le prossime tre partite, soprattutto con lo scontro diretto con la Svizzera, assomigliano a una sentenza. Il gruppo si sta completando. Ieri è arrivato Lele Oriali, il team manager che ha rinnovato sino al Mondiale del 2022. Oggi sarà la volta di Vialli.
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Nella Nazionale del Mancio trova posto anche Zaniolo, che torna a un anno di distanza e sembra aver capito gli sbagli del passato: «Questo è un nuovo inizio - dice nell'esclusiva Rai -. Dopo i due gravi infortuni sono diverso come uomo e calciatore. Ho imparato la cultura del lavoro e spero di poter dare il mio contributo. La paternità mi ha fatto crescere e non ho paura di prendermi le mie responsabilità».
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