Nicola Nannicini per “il Venerdì - la Repubblica”
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Fra i sociologi il dibattito va avanti da più di un secolo: qual è il rapporto fra religiosità e sviluppo economico? E la religiosità è una palla al piede per l'economia? Cento anni fa il sociologo Max Weber sostenne che il cristianesimo protestante era uno dei motori della rivoluzione industriale europea e del relativo crescere di reddito, grazie all' importanza che dà a duro lavoro, educazione, sobrietà e successo economico. Invece per il suo collega francese Émile Durkheim, il progresso tecno-economico non ha bisogno di religiosità ma, anzi, soddisfacendo i bisogni materiali tende a distruggerla.
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«Oggi si nota una relazione fra ricchezza e secolarismo», dice Damian Ruck, docente di filosofia alla Università di Bristol «nel senso che molte delle nazioni più povere sono anche quelle dove la religiosità è alta, mentre molte delle nazioni più ricche sono anche le più secolarizzate.
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Ma questo non ci dice se la religiosità sia un ostacolo allo sviluppo economico, o se invece non lo influenzi, mentre è lo sviluppo, una volta partito, a ridurre la pratica religiosa, con la promozione di valori edonistici: in altre parole, la secolarizzazione precede lo sviluppo economico o lo segue?».
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Per rispondere a questa domanda Ruck ha cercato di ricostruire il rapporto fra crescita del Pil e valori esistenziali prevalenti in 109 nazioni (fra il 1910 e il 2000), usando i risultati del sondaggio globale World Values Survey, che dal 1990 raccoglie dati sui valori nel mondo.
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Per capire quali fossero quelli prevalenti prima del 1990, ha considerato le risposte date dalle varie classi di età: visto che l'universo dei valori si stabilizza intorno ai 20 anni, per capire, per esempio, cosa si pensasse della religione nel 1930, ha usato le risposte date dai nati nel 1910.
I risultati lasciano pochi dubbi: quasi ovunque l'aumento di secolarizzazione ha preceduto di molti anni la crescita del Pil, indicando che una diminuzione di religiosità potrebbe essere una precondizione per lo sviluppo economico. «A ogni aumento di un punto nel nostro "indice di secolarizzazione", corrisponde in media un aumento di 1.000 dollari di reddito pro capite dopo 10 anni, di 2.800 dopo 20 e di 6.300 dopo 30».
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L'ostacolo principale che molte religioni pongono, o ponevano, al progresso economico sembra sia la visione di un ruolo subalterno per la donna: imponendole il ruolo di madre di nugoli di figli e ostacolandone studio e lavoro, non si aiuta certo la crescita del reddito famigliare e nazionale.
«Questo però non vuol dire che il calo della religiosità da solo basti a innescare la crescita economica. Quello che è veramente importante è che crescano i valori di tolleranza, cioè, in sintesi, il lasciare libertà agli individui di decidere come preferiscono vivere. Se una nazione si secolarizza, ma resta intollerante verso i diritti individuali, è difficile che si sviluppi economicamente» conclude Ruck.
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«Viceversa nazioni religiose, ma tolleranti, possono arricchirsi come quelle secolarizzate». Damian Ruck, docente di filosofia a Bristol, ha studiato il rapporto tra ricchezza e secolarismo. Scoprendo varie cose. Una riguarda le donne.
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