Marta Serafini per il "Corriere della Sera"
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Non importa che nel Paese non ci sia più cibo e il sistema finanziario sia al collasso. Fondamentale - per i talebani - è che nelle soap opera non compaiano le donne e le presentatrici televisive siano ben coperte mentre leggono le notizie. È l'ultimo provvedimento del governo talebano che ha rilasciato una serie di linee guida ai canali con otto nuove regole. Sebbene le indicazioni sulla lunghezza del velo delle anchor non sia molto precisa, la censura spazia.
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Si va dal divieto di film considerati «contrari ai principi della sharia e ai valori afghani». Sono poi vietate le riprese «che espongano parti intime del corpo». E sono sospesi gli spettacoli comici e di intrattenimento che insultano la religione o possono essere considerati «offensivi per gli afghani». Infine, niente film stranieri. «Regole inaspettate», secondo Hujjatullah Mujaddedi dell'associazione dei giornalisti.
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Ma soprattutto regole che, oltre ad essere lesive dei diritti delle donne - nel Paese alle giovani è già stata vietata l'istruzione superiore e sono interdetti alle donne la maggior parte dei lavori - non hanno alcuna aderenza alla realtà. In Afghanistan, così come in buona parte del mondo musulmano, le soap opera più diffuse sono quelle prodotte in Turchia, «drama» dove le donne sono quasi sempre protagoniste. Difficile pensare di non mandarle più in onda dando un dispiacere all'«alleato» turco.
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E ancora: questo provvedimento rischia di calpestare i piedi ai signori della guerra che possiedono la maggior parte delle televisioni locali, fiorite in Afghanistan dopo il crollo dei talebani nel 2001. Secondo Hujjatullah Mujaddedi molte emittenti, se costrette a sospendere i programmi più popolari, dovranno chiudere. Una situazione che non farà sicuramente piacere ai narcotrafficanti locali e che rischia di far salire la tensione già alta
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Il giro di vite sulle televisioni arriva mentre le Nazioni Unite lanciano l'ennesimo appello, chiedendo azioni urgenti a sostegno delle banche afghane ed evidenziando come le conseguenze di un collasso del sistema sarebbero «colossali». Tradotto, il crollo definitivo del Paese è a un passo, mentre il freddo è sempre più rigido, le interruzioni di elettricità sono sempre più frequenti e il cibo scarseggia mentre i prezzi sono raddoppiati. In questo quadro la settimana scorsa ha fatto molto discutere l'immagine di Farzanah Ayoubi, una giornalista abbastanza nota in Afghanistan prima del 15 agosto. Da sette anni lavorava per diversi media del Paese ed era spesso in televisione. Oggi un suo collega la mostra su Twitter mentre in strada è accovacciata di fianco a una pila di oggetti messi in vendita.
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«Farzanah ha perso il lavoro, in quanto donna non può trovarsi un'occupazione ed è costretta a fare la venditrice ambulante», ha denunciato Miraqa Popal, ex direttore di «Tolo News», principale network afghano. E come Farzanah, migliaia di altre donne e uomini che ogni giorno affollano le strade di Kabul. E, mentre i talebani si preoccupano delle soap e della lunghezza del velo, l'Unicef avverte: dal 15 agosto è cresciuto il numero di spose bambine e le famiglie sono costrette a vendere le loro figlie per 50 dollari.
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