Gian Luigi Nuzzi per “la Stampa”
Gianluigi Nuzzi
Nella pirotecnica sagra della revisione show, ultima moda con assassini certificati che chiedono di riaprire il loro processo, battendo il tamburo dell'innocenza presunta e della prova non vista, mancava solo lui, Alberto Stasi. Sì lo studente della Bocconi, oggi detenuto-centralinista nel carcere di Bollate dopo la condanna definitiva a 16 anni per aver ucciso nell'estate nera del 2007 la fidanzata Chiara Poggi nella villetta e a Garlasco. Stasi si infila nella scia di chi prova a ribaltare il verdetto della Cassazione, dietro ai vari Rosa e Olindo - quelli della strage di Erba, di Salvatore Parolisi - assassino della moglie Melania Rea, o di Antonio Logli e Massimo Bossetti che sono tutti lì a studiare.
alberto stasi
Chi a presentare già istanze, chi a recuperare atti, cercare crepe e indossare il vestito sartoriale del perfetto innocente, della vittima dell'errore giudiziario. Oddio, la nostra giustizia fa acqua da tutte le parti, spesso le pronunce nei vari gradi di giudizio sono opposte, disorientando il pubblico, ma considerare che le più importanti sentenze sui gialli degli ultimi 15 anni siano frutto di sviste seriali, è forse davvero un po' troppo.
Ma gli Stasi provano a dare la spallata, infilando attesi "nuovi e clamorosi" indizi che porterebbero all'odiosa e inaccettabile abbinata di un candido innocente dietro le sbarre, ovvero l'insciente Stasi, e un pericoloso assassino di giovani ragazze libero di uccidere chissà chi altri. Sul caso di Stasi bisogna però considerare che siamo già alla seconda istanza di revisione.
ANDREA SEMPIO CHIARA POGGI ALBERTO STASI
Donna Elisabetta Ligabò, mamma dello studente assassino, già nel 2016 aveva presentato mezzo chilo di carte bollate, ritenendo che l'assassino di Chiara non poteva certo essere il suo Alberto, ma un tale Andrea Sempio, che viveva a 400 metri dalla povera ragazza. In asse con un'altra donna, la giovane avvocatessa Giada Bocellari, mamma Elisabetta aveva arruolato degli investigatori privati della Skp investigazioni per scolpire la nuova verità.
Era sceso in campo quel marcantonio di Luca Tartaglia, 188 centimetri per 110 chili, che si era messo a pedinare per giorni l'incensurato Andrea, scoprendo che l'uomo portava avanti una vita noiosa di giorni fotocopia. Era arrivato persino a prelevare dei campioni di saliva, da una tazzina di caffè e dal relativo cucchiaino, aprendo il ventaglio delle probabilità. Una coltre di indizi e suggestioni si posarono per incanto sul passato di Sempio: il suo dna - nell'asse familiare maschile- è compatibile con quello trovato sotto le unghie di Chiara, i due abitavano vicino, lui poi aveva stranamente conservato per anni in una busta di plastica un documento inquietante.
ALBERTO STASI
Era lo scontrino del parcheggio dove lasciò l'auto per andare ad acquistare dei libri nel giorno del delitto. Un'attenzione sospetta, quasi tesa a costituirsi un alibi. Certo, poi tante cose non tornavano. L'assassino di Chiara indossava scarpe numero 42 quando Sempio invece da sempre calza il 44, la ragazza aveva aperto la porta di casa in pigiama a qualcuno che evidentemente conosceva, mentre non c'erano contatti, saldi punti in comune tra i due ma, insomma, mai dire mai.
casa garlasco 6
Partirono inchieste - con denaro pubblico - vennero fatte verifiche, messe microspie, rivisti i rilievi genetici. Ma poi si torna sempre a lui, ad Alberto Stasi. A un assassino privo dell'inspiegabile fascino del male, gli occhi chiari e freddi di chi immagini anaffettivo, il volto pallido al contrario di una Chiara che abbracciava la vita. Se si rispolverano gli atti del processo si capisce perché. Il suo racconto di quando entrò in casa per trovare Chiara morta è incompatibile con quanto emerso dai rilievi scientifici.
E non tanto per il pallore che Alberto descrisse dell'elegante volto di Chiara quando in realtà era una maschera di sangue. Stasi giurò di aver scoperto il corpo riverso, con macchie dappertutto, quando poi non vennero trovate tracce ematiche sulle suole delle scarpe e sul tappetino dell'auto. Com' era possibile? Né vennero evidenziate impronte sulla grande macchia di sangue vicino alla porta da lui ipoteticamente aperta. Insomma, Stasi avrebbe camminato come un fantasma senza sporcarsi, senza nemmeno rompere le piccole macchie secche disperse in casa, né lasciare le classiche tracce di riporto.
ALBERTO STASI
Era cioè da escludersi che Stasi potesse non macchiarsi, attraversando la scena del crimine. Invece, le copiose tracce di Chiara vennero trovati sui pedali Wellgo montati sulla bicicletta bordeaux da uomo appartenente al padre di Alberto con un evidente e inspiegabile cambio degli stessi, asportati dalla bici nera da donna Luxury d'origine e montati di gran fretta su un altro velocipide, fuori dallo spettro delle indagini, come si poteva dedurre dai graffi in senso orario e antiorario rinvenuti, frutto di un montaggio compiuto da inesperti.
CHIARA POGGI GARLASCO
Ancora, il dispenser del sapone e l'intero bagno offrirono solo le impronte del condannato e quindi se l'assassino si è lavato le mani e ha ripulito il dispenser, questo deve essere stato Stasi. Il vero buco nero di questa storia è il movente che ancora manca, lasciando nei parenti di Chiara un ulteriore buio.
Durante le indagini si sostenne che Stasi la uccise dopoché la ragazza scoprì materiale pedopornografico nel computer del fidanzato. Un'ipotesi ora da archiviare visto che la giustizia ha da tempo assolto, anche se fatto poco noto, Stasi dal possesso di questo materiale: sul suo computer non si trovò mai la presenza certa di video o immagini di minori ma solo "tracce", mai scaricate. Adesso però bisognerà capire la solidità di questa mossa della difesa di Stasi. Se davvero è stato qualcun altro e finora nessuno se n'era mai accorto o se è solo un'abile mossa per sparigliare le carte e cercare di dare una spallata alla verità.
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