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    O MIA BELA PASTIERINA - PASQUA È PASSATA, MA IL DOLCE NAPOLETANO "FUNZIONA" ANCORA E SBARCA PURE A MILANO: LA VERSIONE MENEGHINA PREVEDE UNA PASTA FROLLA CON FARINA DI MAIS, IL MASCARPONE IN COMBINAZIONE CON LA RICOTTA, LA SCORZA DI ARANCIA CANDITA, IL RISOLATTE ALLO ZAFFERANO ANZICHÉ IL GRANO COTTO E LA CANNELLA - L'ORIGINE MITOLOGICA DEL DOLCE LEGATA ALLA SIRENA PARTENOPE...


     
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    Gemma Gaetani per “La Verità

     

    pastiera pastiera

    Tramite una minima espansione temporale vogliamo parlare ancora, pur essendo appena passata la festa, di un dolce di Pasqua: la pastiera napoletana. Ne parliamo perché per una volta possiamo dare notizia di una specie di nemesi milanese, un - per dirla con le parole di Gomorra - «Mo' ce ripigliamm' tutt' chell' che è 'o nuost», ossia: «Ci riprendiamo quanto ci appartiene» all'ombra della Madonnina. Di solito, avviene il contrario.

     

    pastiera napoletana pastiera napoletana

    Abbiamo visto, infatti, come il panettone tipico della tradizione artigiana milanese non sia stato affatto tutelato da «arraffi» extramilanesi: il disciplinare del 2003 e la registrazione del logo alla Camera di commercio di Milano stabiliscono i criteri per la produzione e per la certificazione del panettone tipico della tradizione artigiana milanese, ma quasi nessuno, non solo fuori Milano, anche nella stessa Milano, conosce l'esistenza di questo panettone con certificato.

     

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    La sua ricetta, legata anche alla produzione lombarda (si devono usare farine lombarde), è stata spesso disattesa innanzitutto dalla nazionalizzazione industriale, con farce, coperture e conservanti vietati dal disciplinare ma permessi dal decreto ministeriale 22 luglio 2005 del ministero delle Attività produttive e dal ministero delle Politiche agricole e forestali riguardo alla disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti dolciari da forno, che autorizza anche l'assenza di cedro e arancia canditi e di uvetta.

     

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    Poi, le versioni locali di un luogo diverso da Milano, che rimuovono la località originale per sostituirla con la propria, hanno dato un altro colpo all'originale e tradizionale panettone.

    È un po' come se un decreto autorizzasse a chiamare commercialmente ragù anche qualcosa che ha molto poco a che vedere con il ragù alla bolognese e la stessa cosa è accaduta con la colomba, altro dolce che, originato a Milano, ha poi varcato i confini regionali ma anche perduto, fuor di Milano, la sua identità, diventando il contenitore nominale di una serie di ingredienti che stanno a Milano come la minigonna a un uomo.

     

    Ebbene, è avvenuto il contrario. Chi di «appropriazione culturale alimentare» ha ferito, potremmo dire esagerando un poco e scherzosamente, di «appropriazione culturale alimentare» ora perirà: la pastiera milanese è realtà.

     

    Incroci geografici

    la pastiera la pastiera

    È stata la pasticceria Martesana a ideare la versione meneghina della pastiera napoletana, dolce di Pasqua fondamentale nella tradizione campana ormai esteso nello spazio, perché trovando il grano precotto per pastiera al supermercato si è iniziato a prepararla in tutta Italia, e nel tempo, perché, nel Napoletano, la nostra ha abbandonato l'esclusività pasquale e si trova sui banchi di molte pasticcerie tutto l'anno.

     

    Tuttavia, questo allargamento del raggio non aveva mai minato eccessivamente la ricetta: nessuno ha mai fatto pastiere gourmet o proprie che fossero tanto sacrileghe come possono esserlo per i puristi del panettone o della colomba milanesi le attuali o le personali versioni di panettoni e colombe rispetto alle originali ricette milanesi.

     

    foto di pastiera foto di pastiera

    Una delle prime attestazioni scritte della pastiera risale a La gatta Cenerentola di Giambattista Basile (1566-1632) in una raccolta di favole uscita postuma nel 1634, Lo cunto de li cunti.

     

    Nella descrizione per i festeggiamenti dati dal re per ritrovare la proprietaria della scarpetta, dice: «Da dove vennero tante pastiere e casatielle?». Si trattava, probabilmente, della pastiera così come codificata da Antonio Latini nel trattato di cucina Lo scalco alla moderna (1693) nella ricetta Di Grano, detto alla Napolitana Pastiera, nella quale si spiega come far cuocere «in latte grasso» «grano del più bello» per poi mescolarlo con «Parmiggiano grattato», «ricotta grassa di pecora», «farina di pane di Spagna», «zuccaro», «pistacchi ammaccati macerati in acqua rosa muschiata», pepe, sale e cannella per poi farcire una sfoglia di «pasta di marzapane» con crosta superiore a mo' di american pie e non strisce, come oggi.

     

    Ibrido salato

    fetta di pastiera fetta di pastiera

    Da questo ibrido dolce e salato si passa alla ricetta di Vincenzo Corrado che in Il cuoco galante del 1773 spiega che la Torta di frumento si fa così: «Ammollito bene il frumento in acqua, e cotto in brodo di cappone, e freddato, si mescolerà con panna di latte, gialli d'uova, zucchero, cedro pesto e sciolto con acqua di fiori d'aranci, un senso d'ambra, e acqua di cannella; si metterà nella cassa di pasta, la quale si coprirà con altra pasta a strisce, e si farà cuocere».

     

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    Nel corso del diciottesimo secolo saranno le suore di San Gregorio Armeno a canonizzare la ricetta contemporanea eliminando ogni residuo di ingrediente salato, infatti nel successivo testo Cucina teorico-pratica di Ippolito Cavalcanti del 1837 la Pastiera, questo il nome «secco» della ricetta, è definitivamente dolce: «Chist' è no bello piatto doce, e a lo paese nuosto se fa quanno è la Santa Pasca, che lo Cielo nce faccia vedè pe cient'anne; e se fa de chesta manera. Piglia na mesura de grano janco spugnato e pulito, lo farraje cocere, e quanno s'è cuotto e arrefreddato lo mmiscarraje co doje rotola de bona recotta, senza lo siero mperò; nce miette tre quarte de zuccaro fino passato pe setaccio, na libra de cocozzata tagliata a fellucce, na meza libra de cetronata pure accossì, na ventina de rossa d'ova, e n'addore de cannella fina bona, e mmische ogne cosa. Farraje no poco de pasta co l'ova, che te serve pe fa na pettola sott'a la prattella, sodognennolla primmo de nzogna, e llà dinto nce miette chella robba che t'aggio ditto: ncopp'a essa po nce farraje na cancellata de tanta laganelle de chella stessa pasta».

     

    Poi si spolvera di zucchero e poi si cuoce in forno. Cavalcanti aggiunge che, se la si volesse fare «rusteca», ebbene «nun ce vo lo zuccaro, e manco la cetronata e la cocozzata, ma nce miette tanta provola grattata che la prudenza toja te pare».

     

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    Con le suore di San Gregorio Armeno giungiamo alla ricetta odierna: un mezzo guscio di pasta frolla ricoperto di strisce incrociate e in mezzo un ripieno di grano cotto, ricotta, acqua di fiori di arancio (oggi sostituita o abbinata con la millefiori), zucchero, cannella, scorza di arancia, cedro e zucca (la «cocozza» nominata da Cavalcanti è la zucca) canditi, uova. La tradizione vuole che la pastiera si prepari il Giovedì Santo e che poi si lasci a riposare a temperatura ambiente per essere mangiata il giorno di Pasqua.

     

    Alcune tradizioni e storie sulla pastiera sono vere, altre no: quella delle sette strisce che imiterebbero i 4 cardi e i 3 decumani a croce greca del centro storico con «planimetria» a scacchiera di Napoli non è vera, perché i decumani sono 3 mentre i cardi sono ben più di 4 e sono irregolari.

     

    pastiera nappoletana pastiera nappoletana

    La tesi è stata lanciata prima con la distribuzione di un volantino ai suoi clienti, poi sui social network, dalla Pasticceria Ippolito a San Gaetano nel 2016: nel volantino, redatto dalla onlus I sedili di Napoli che si occupa della tutela e valorizzazione del centro storico, si teorizzava questa corrispondenza, ma dopo un paio di anni, sempre su Facebook, il presidente della onlus ha spiegato che non c'era «nessuna fonte storica.

     

    La cosa è nata un po' per scherzo, un po' come "ipotesi" per ricordare che abbiamo radici storiche e culturali molto antiche e che la sacralità muove ancora oggi le azioni dei napoletani. Quindi, facendo la pastiera in casa, mettete tutte le strisce che vi pare.

     

    CIBO PROPIZIATORIO

    Cercando storia dove se ne può trovare di vera, dal bel libro La minestra è maritata. Ritratto storico della gastronomia meridionale di Gennaro Avano apprendiamo che «la pastiera nasce probabilmente dall' evoluzione di un cibo propiziatorio del mondo preellenico che vedeva l'impiego di orzo cotto (successivamente sostituito dal grano).

     

    pastiera napoletana pastiera napoletana

    I cereali furono infatti elevati dalle popolazioni italiche a simbolo dei cicli stagionali come emblema di fecondità, morte e rigenerazione e poiché durante le festività del culto preellenico di Cerere (e poi ellenico di Demetra) non si macinavano cereali, nasce da ciò la tradizione del consumo del chicco intero com'è quello utilizzato nella pastiera.

     

    La simbologia contenuta da un precursore gastronomico della pastiera gli valse sicuramente l'assunzione nelle ritualità cristiane, ben attagliandosi al concetto della Resurrezione evangelica. Curiosamente i resti di un tempio delle sacerdotesse di Cerere nel centro storico intramoenia di Napoli coincidono, pressappoco, con il luogo dove si ritiene nata la pastiera, ovvero la Chiesa di San Gregorio Armeno».

     

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    Se invece vogliamo rifarci alla leggenda, si narra che la sirena Partenope, simbolo di Napoli, vivesse nel golfo tra Posillipo e il Vesuvio, emergendone a primavera per cantare di gioia per i napoletani che, una volta, la ringraziarono mandandole 7 fanciulle con 7 doni della natura, 7 come le meraviglie del mondo: farina che rappresentava la ricchezza, ricotta, simbolo dell' abbondanza, uova, simbolo di riproduzione, grano cotto nel latte, simbolo di fusione tra regno vegetale e animale, acqua di fiori d' arancio a rappresentare i tipici profumi di agrumi della Campania, le spezie a rappresentare tutti i popoli e lo zucchero, dolce come il canto della stessa sirena.

    Mescolati dagli dei, quei sopraffini ingredienti diedero luogo alla prima pastiera.

     

    Saltando da affascinanti quanto fantasiose leggende a fatti storicamente assodati, il legame fra pastiera e Pasqua è indissolubile: pensate che a Massaquano, il martedì di Pentecoste (si festeggia la Pentecoste il cinquantesimo giorno a partire dal giorno di Pasqua compreso) si celebra la Festa della Madonna ed è tradizione avere in casa una pastiera, perché anticamente la Pentecoste era l'ultima Pasqua: la prima Pasqua era quella dell'Epifania, la seconda la Pasqua di Gloria o Resurrezione e la terza Pasqua rosata o delle rose era appunto la Pentecoste.

     

    Dopo la terza Pasqua, la pastiera scompariva e tornava alla seconda Pasqua dell' anno successivo, perché senza frigorifero, da giugno in poi, in Campania, avrebbe fatto troppo caldo per conservarla in dispensa.

     

    LA VERSIONE LOMBARDA

    pastiera di napoli pastiera di napoli

    E la pastiera di Milano? Non crediamo che potrà mai sostituire la pastiera napoletana tradizionale, ma è una bellissima ricetta. Bisogna sempre distinguere tra versioni altre che offendono la ricetta tradizionale e quelle sperimentazioni che invece hanno senso e sono omaggi, eccezioni che confermano la regola.

     

    La milanesizzazione operata da Vincenzo Santoro ha senso e prevede una pasta frolla con farina di mais, l'uso del mascarpone in combinazione con la ricotta, la scorza di arancia candita, il risolatte - con riso Carnaroli - allo zafferano anziché il grano cotto e la cannella.

     

    Anche il top della pastiera è diverso: né guscio, né strisce, ma un omaggio alla foglia d'oro con la quale Gualtiero Marchesi ultimava il suo risotto alla milanese (il Riso, oro e zafferano) cioè una sottile sfoglia di cioccolato fondente a forma di Duomo di Milano, con una minima doratura sulle guglie. Infine, la forma non è tonda, ma quadrata e c'è solo una base di frolla, nemmeno i laterali.

     

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    Vincenzo Santoro, oltre a proporre il panettone classico nella sua pasticceria milanese, ha ideato anche il Panetùn de l'Enzo, con cioccolato e confettura di albicocche, quindi in lui non pare esserci nessuna intenzione di difendere ossessivamente una tradizione lombarda.

     

    Però, forse, qualche lombardo che ha sofferto vedendo panettoni con topping e farce al limoncello si sentirà «risarcito» e qualche napoletano potrebbe sentirsi urtato, ma visto che esistono già troppe guerre culturali tra minoranze, il nostro consiglio è di godersi questa versione altra di un pasticcere pugliese trapiantato a Milano così inventivo, così come quella canonica. C'è posto per entrambe, sia per la pastiera napoletana ortodossa che è anche Pat della Campania, sia per quella milanese.

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