Ugo Magri per "la Stampa"
giorgia meloni e matteo salvini
Il 5-0 delle Comunali cambia le prospettive della corsa al Colle. Quale ne sia la ragione, è presto detto: alla luce del risultato, che premia il centrosinistra e mortifica le destre perfino al di là delle aspettative, tutte le strategie politiche andranno riviste. I calcoli dei partiti idem. E dunque, per effetto di questo rivolgimento innescato dagli elettori, i piani per la conquista del Quirinale non saranno più gli stessi. Chi sperava di sfruttare certe dinamiche, adesso si trova improvvisamente spiazzato; viceversa, tornano in auge candidature che sembravano destinate ai margini.
L'imprevedibilità, in fondo, è il bello della politica. Intendiamoci: i "grandi elettori" sono sempre gli stessi, 630 deputati e 321 senatori (compresi quelli a vita e di diritto), cui si aggiungeranno 58 rappresentanti delle Regioni. Né per effetto dei ballottaggi a Roma e Torino è cambiata la principale preoccupazione che anima questa vasta platea, cioè l'istinto di auto-conservazione.
ENRICO LETTA PARLA DI DRAGHI A PORTA A PORTA
Tre su quattro degli attuali parlamentari sanno già di non venire rieletti, un po' per la riforma costituzionale che ne ha tagliato il numero, un altro po' perché dal 2018 la geografia politica è tutta cambiata; dunque si avvarranno del voto segreto per silurare qualunque candidatura presidenziale in odore di elezioni anticipate. Da questo punto di vista non c'è nulla di nuovo, fa prudentemente notare un veterano di Palazzo Madama come il dem Luigi Zanda.
Però, come effetto delle Comunali, è girato il vento, sono cambiati gli umori collettivi. Fino a qualche settimana fa, nelle super-medie dei sondaggi, il centro-destra sfiorava la maggioranza assoluta con un vantaggio di 4-5 punti sul fronte avversario; già si comportava come se la conquista del potere fosse praticamente scontata, una formalità; non a caso insisteva (con Giancarlo Giorgetti, con Giorgia Meloni) per tornare quanto prima alle urne; e si dichiarava pronto a promuovere Mario Draghi sul Colle pur di ottenere in cambio nuove elezioni anticipate.
GIORGIA MELONI E MATTEO SALVINI
Non perché l'attuale premier si sarebbe impegnato a sciogliere le Camere una volta diventato presidente, circostanza mai accaduta nella storia della Repubblica, ma per la difficoltà oggettiva di rimpiazzarlo alla guida del governo. Draghi al Quirinale, cioè la scusa per voltare pagina, una trappola tesa alla legislatura. Adesso la vittoria del centrodestra non sembra così scontata, l'inerzia elettorale spinge in direzione opposta. Quando si perdono tutti i duelli nelle grandi città, nessuna esclusa, vuole dire che qualche ingranaggio si è inceppato nella macchina da voti di Salvini e Meloni.
draghi letta 1
Col risultato che quei due rifletteranno bene prima di insistere con nuove elezioni, per le quali non sembrano preparati e da dove rischiano di uscire con le ossa rotte; di conseguenza si può scommettere che, d'ora in avanti, andranno piano sulla candidatura di Draghi, evitando di riproporla alla garibaldina per un semplice motivo: Enrico Letta, corroborato dalla smagliante vittoria delle Comunali, d'ora in avanti giocherà all'attacco.
salvini meloni
Se venisse sfidato sulle urne potrebbe forzare la sua proverbiale prudenza e tentare il colpaccio puntando a sua volta su Draghi, in modo da accelerare il ritorno alle urne e intestarsi, con un colpo da biliardo, tanto la presidenza della Repubblica e quanto guida del prossimo governo. Naturalmente Letta, Salvini e Meloni non saranno gli unici protagonisti. Anche il Cav e l'Avvocato del popolo (Giuseppe Conte, ndr) vorranno dire la loro. Gli stessi centristi (da Matteo Renzi, a Carlo Calenda, a Giovanni Toti) stanno scambiandosi segnali di fumo per trovare un terreno d'intesa (mancano 74 giorni alla convocazione del Parlamento in seduta comune).
sandra zampa romano prodi foto di bacco
Ma all'indomani delle Comunali una cosa appare scontata: la scelta del tredicesimo presidente della Repubblica sarà conseguenza del braccio di ferro sulle prossime elezioni. Discenderà direttamente da come e quando i partiti vorranno tenerle, a regolare scadenza nella primavera 2023 oppure con un anno di anticipo. Se vincerà la voglia di bruciare i tempi, un trasloco di Draghi al vertice delle istituzioni sarà nell'ordine delle cose plausibili (e sempre che la base parlamentare sia consenziente, circostanza di cui un grande esperto come il centrista Osvaldo Napoli dubita assai).
walter veltroni pietro grasso foto di bacco (3)
Qualora invece nei leader prevalga la volontà di tenere in piedi il governo per il timore dell'ignoto, ovvero per paura di confrontarsi con le urne in quanto troppo incerto e pericoloso, allora la candidatura di Draghi al Quirinale perderà qualche colpo. Il voto del weekend sembra suggerire questo secondo sbocco come più probabile. Lo stesso Letta ha spiegato che il governo deve restare indomito al suo posto, anche per un dettaglio non da poco: se si vogliono incassare i miliardi dell'Europa, bisognerà realizzare una quantità di riforme ancora appena abbozzate, approvarle in Parlamento e implementarle con una valanga di decreti attuativi.
PAOLO GENTILONI
«Non possiamo lasciare il lavoro a metà», scuote la testa il sottosegretario Giorgio Mulè. Con Draghi bloccato a Palazzo Chigi, sarà Sergio Mattarella a tenergli calda la poltrona? Pare proprio di no: chi frequenta il presidente in carica sostiene che sarebbe dura convincerlo a proseguire perfino se tutti lo implorassero in ginocchio, come fu con Giorgio Napolitano.
Per cui circolano altri nomi, che poi sono quelli soliti: da Romano Prodi a Walter Veltroni, da Dario Franceschini a Paolo Gentiloni, da Francesco Rutelli a Pier Ferdinando Casini.Tutti al maschile, perché le donne sembrano uscite di scena. E tutti di area Pd, con il berlusconiano Maurizio Gasparri che, fiutata l'aria, sa già come andrà a finire: «La sinistra famelica ha il tovagliolo al collo e pure stavolta, sull'onda del voto, spera di riprendersi il Quirinale. Ma sia chiaro: noi non ci presteremo».
dario franceschini PAOLO GENTILONI E MARIO DRAGHI