Gaudenzio Fregonara per "Mf Milano Finanza"
Segretario Lando Maria Sileoni, nella sua qualità di segretario generale della Fabi, può dirci a che punto sono le trattative per il nuovo contratto dopo l’incontro di lunedì?
Nell’incontro di lunedì abbiamo messo l’Abi con le spalle al muro. Vogliamo risposte chiare e concrete sui singoli argomenti. In assenza di risposte concrete entro ottobre, prenderemo posizione e, esplorati gli argomenti, in assenza di condivisione, scatterà la mobilitazione e la rottura. Non firmeremo più accordi nei gruppi e scenderemo in piazza, come nel 2015.
LANDO SILEONI
Ci racconta cosa è successo?
Rispetto ai numeri concordati nei piani industriali, abbiamo rilevato che esistono migliaia di lavoratori in più che hanno lasciato le banche per vari motivi. Le aziende ne hanno approfittato, senza conteggiare queste uscite in meno rispetto a quelle concordate. Stesso discorso per le assunzioni. C’è una differenza di 2.500 unità in meno. Il negoziato non andrà avanti finché i numeri non saranno ufficiali e condivisi.
Ai rappresentanti delle banche ha fatto un quadro del settore. Cosa ha detto?
Ho detto che negli ultimi sette, otto anni e anche negli ultimi mesi e giorni, sono accadute tante cose, estremamente rilevanti per il settore bancario. Tutto si muove, tutti hanno interessi personali e professionali da difendere e da raggiungere, tutti sono pronti a riposizionarsi anche rispetto al nuovo governo. Il contratto è scaduto da mesi e il Tfr ai lavoratori non è stato ancora liquidato, ma non sarà regalato alla controparte. E poi i 200 euro richiesti non potranno subire compensazioni. Nel 2012, periodo certamente più difficile dell’attuale, chiudemmo un accordo con Francesco Micheli presidente del Casl con 172 euro di aumento. La verità è che rispetto agli aumenti economici richiesti non hanno il coraggio di dirci che non intendono arrivare a quella cifra. Così, bloccheremo le relazioni sindacali dei gruppi, scenderemo in piazza con le associazioni dei consumatori: così capiranno che le lavoratrici e i lavoratori bancari sono stanchi dei soliti giochetti. Ai vertici degli istituti, oggi, interessa soltanto non farsi schiacciare dalla Bce anche rispetto a probabili criteri di onorabilità che la stessa dovrebbe emanare a breve.
Andrea Enria AB
Sta dicendo che la Bce ha presentato il conto?
Recentemente il presidente della Commissione della vigilanza della Bce, Andrea Enria, in Abi ha detto: “Non vi dovete spaventare della eccessiva rigidità della Bce, ma io auspico una ripresa immediata delle aggregazioni e la mia porta è sempre aperta”. Una frase che volutamente non è stata fatta filtrare ai giornalisti. In sintesi: Enria vuole portare a casa risultati e invita a rivolgersi direttamente a lui. Come dire: se volete, io sono pronto a fare la mia parte. Un modo come un altro per ottenere risultati rispetto alle politiche della commissione che lui, da poco tempo, presiede.
Come stanno reagendo i banchieri italiani agli input della Bce?
Il rinnovamento dei vertici bancari è fermo al palo da tempo. E c’è una generazione di sessantenni che sorride compiaciuta ad Andrea Enria, ma nei fatti non pensa ad aggregazioni e fusioni. In Italia vale per loro la regola non scritta secondo la quale fino a che non saranno costretti, rimarranno rintanati nel loro guscio dorato.
SILEONI FABI
Pure Banca d’Italia, che ha determinate prerogative nel nostro Paese, si muove.
Sabato Banca d’Italia ha di fatto annunciato il progetto di una super popolare per il Centro Sud e ha saputo ben gestire, col dg Fabio Panetta, la vicenda Carige. I commissari hanno raggiunto il loro obiettivo, stessa cosa per il governo grazie al lavoro fatto dai sindacati che hanno stimolato la partecipazione dei lavoratori all’assemblea. Col risultato ottenuto all’assemblea, persino la politica nazionale e locale ha difeso i propri interessi. Lo stesso gruppo Malacalza si è lasciato le mani libere per eventuali azioni legali. E persino Cassa centrale di Trento in eterno conflitto con il gruppo Iccrea si presenta ora come la salvatrice della Patria. Anche qui, politica, banche, bcc: tutti in movimento a difesa dei propri interessi. Il gruppo Iccrea non ha mai visto di buon occhio l’intervento di Trento su Carige e lo farà pesare nei modi e nei tempi opportuni. Vedrete, ci saranno compensazioni politiche anche per loro. Tutti puntano i piedi e quando lo fa il sindacato per tutelare i lavoratori bancari, questi signori, però, si scandalizzano.
E sul contratto le banche che posizione hanno?
I rappresentanti delle banche stanno alla finestra per vedere quale posizione prenderà il presidente del Casl per poi apprezzarlo, criticarlo o impallinarlo. Aspetteremo un po’, poi le mani e i comportamenti saranno liberi. Se potessero, in molti farebbero a meno di Abi per farsi i loro contratti aziendali e di gruppo. Per noi è indispensabile non solo il contratto nazionale, ma la presenza di Abi e del presidente Antonio Patuelli come elemento di garanzia e stabilità del settore.
Come reagirete in caso di distanze?
Una volta esplorate e verificate le distanze sugli argomenti, non ci sarà più tempo per il dialogo. Scenderemo in piazza, dichiareremo scioperi, non sottoscriveremo accordi nei gruppi. Dalle parole passeremo ai fatti.
carlo cimbri 10
Pensa che i grandi gruppi possano mettere sul tavolo i loro piani industriali con la vertenza sul ccnl?
Non voglio neanche pensare che Unicredit cercherà di barattare la firma del sindacato sul prossimo piano industriale in cambio di un consenso dello stesso gruppo rispetto agli aumenti economici nazionali richiesti. Stesso discorso per BancoBpm e UbiBanca. Che, stando a quanto scritto ieri dalla stampa, hanno cominciato a parlarsi. Se pensano di fare operazioni che produrranno migliaia di esuberi avranno il sindacato contro. Prima delle ambizioni personali di alcuni amministratori delegati viene la tenuta del settore e la salvaguardia dell’occupazione. Lo ricordino.
Che atteggiamento ha riscontrato al tavolo Abi?
Ai capi del personale interessa chiudere il contratto a determinate condizioni, non positive per i lavoratori. Hanno il corpo in Abi e la testa impegnata nei gruppi bancari di appartenenza. Molti di loro e molti amministratori delegati farebbero volentieri a meno dell’Abi: la ritengono una seccatura. Per loro è come timbrare il cartellino. Se arrivassimo allo scontro, qualche amministratore delegato sarebbe felice perché cercherebbe di trarne vantaggi nella competizione fra i gruppi. Il loro disinteresse verso il rinnovo del contratto non è casuale perché con le deroghe al contratto nazionale, utilizzate nei piani industriali, raggiungono importanti risultati economici. Viviamo in una giungla dove il contratto è visto da molti di loro come un ostacolo, una iattura. Contano i comportamenti, non le chiacchiere. E i comportamenti dicono che da un anno stanno facendo melina, mancando di rispetto verso le lavoratrici e i lavoratori.
andrea enria large
In cima alle priorità dei vertici bancari ci sono i piani industriali?
Le loro carriere dipendono anche dai positivi risultati ottenuti grazie alle firme dei sindacati sui piani industriali. Chi non porta a casa l’ok della Fabi o delle altre organizzazioni sindacali ai piani industriali rischia di essere sostituito. Ciò vale per molti degli amministratori delegati che alle firme dei sindacati, all’abbattimento dei costi, al raggiungimento del cost-income tra i migliori d’Europa devono fortune professionali e anche personali. Vale anche per quei rappresentanti delle piccole e medie banche che siedono in Abi che, se da una parte hanno l’onere di gestire una loro proprietà, dall’altra ricevono due forme di beneficio: una riguarda la banca di loro proprietà, che va bene; l’altra che gli stipendi che arrivano anche per loro.
Cosa sta accadendo nel settore? Che cosa si muove dentro e fuori le banche?
Di tutto. Per esempio, in questi ultimi mesi, hanno cominciato a parlarsi personaggi importanti e autorevoli del mondo del credito che per anni si sono detestati. Ero presente io e un altro segretario generale, qualche anno fa, quando, di fronte a un ministro dell’Economia, altri amministratori hanno sfiorato la rissa per difendere i propri interessi. E un paio di alti funzionari di quel ministero, che allora gestivano le aggregazioni fra banche, oggi hanno cambiato lavoro guadagnando, dai privati, 10 volte di più di quello che guadagnavano allora. Tutte le aggregazioni e le fusioni degli ultimi 10 anni sono state obbligate dalla magistratura, dai fallimenti, dagli scandali o dalle decisioni della politica. Niente di spontaneo è avvenuto, nessuna aggregazione è avvenuta per vocazione. E ci parlano loro di senso di appartenenza, di valori, di responsabilità. Proprio loro che guardano soltanto alla propria mattonella.
MARCO MORELLI
Anche il sindacato ha avuto un ruolo cruciale.
Sì, eccome. Se il sindacato non avesse vinto, per soli 500 voti, l’assemblea Bpm del 2016, che votò la trasformazione della popolare di Milano in spa, la stessa riforma Renzi sarebbe saltata e l’attuale amministratore delegato non guiderebbe, oggi, il quarto gruppo bancario in Italia. La parte veronese, colpita dai recenti scandali dei diamanti, ha subito processi e licenziamenti di alcuni alti dirigenti. Sarei curioso di sapere se ci sono state buonuscite significative. Ed è di qualche giorno fa la notizia che la parte bresciana del gruppo Ubi abbia costituito un patto di consultazione che sfiorerà il 18% con adesioni di importanti famiglie. Come vede tutti sanno curare bene i loro interessi.
Veniamo alle partite più complesse, soprattutto per gli effetti sull’occupazione: Unicredit.
victor massiah letizia moratti
Unicredit ha fatto dichiarare a una agenzia di stampa 10.000 esuberi. È la terza volta che avviene negli ultimi 10 anni: stesso periodo (luglio), stessa agenzia (Bloomberg). Il suo amministratore delegato Mustier - piedi in Italia, cuore in Francia e testa in Europa - ha balbettato una reazione dichiarando che il piano industriale sarà socialmente sostenibile. Ma i prepensionamenti volontari sono una conquista del sindacato, valorizzati dalle dichiarazioni politiche del presidente Abi Patuelli, dell’amministratore delegato di Intesa, Messina e dai piani industriali condivisi nei gruppi. Unicredit in Europa ha licenziato; se non lo ha fatto in Italia è per paura della reazione del sindacato. Un amministratore delegato che stimo mi ha detto: “So perché lei si è risentito aspramente verso Unicredit, perché non era stato informato preventivamente”. A quell’amministratore delegato e lunedì in Abi a Unicredit ho risposto che un piano industriale è socialmente sostenibile solo quando di fronte a un numero importante di esuberi è presente un numero importante di assunzioni. Il resto sono chiacchiere.
Spostiamoci a Siena. Qual è il futuro di Mps?
Fra qualche mese ci sarà il rinnovo del cda ed entro un paio d’anni il 68% dello Stato dovrà essere venduto a un privato. Con il nuovo governo, si riaffacciano i soliti personaggi e si parla insistentemente di un importante gruppo assicurativo interessato alla banca. Della serie: tutto cambia perché niente cambi.
Torniamo al contratto. Riuscirete a ottenere 200 euro di aumento?
JEAN PIERRE MUSTIER
Nei corridoi, sono in molti quelli che dicono che 200 euro di aumento sono eccessivi: vorrei ricordare a tutti che nel 2012, in un momento storico peggiore dell’attuale, ottenemmo 172 euro. E anche i rinnovi già definiti di altre importanti categorie di lavoratori hanno portato a casa aumenti economici consistenti. Un giorno faremo le pulci agli stipendi di direttori generali, amministratori delegati e dei membri dei cda. E vedrete che non sono scandalosi solo gli importi: tutti i membri dei consigli di amministrazione e di gestione, per acconsentire a stipendi così elevati, hanno tratto vantaggi economici pure loro. Ma è una catena che vale solo per pochi intimi.