mario draghi al senato
DAGOREPORT
Oggi inizia una settimana decisiva per Mario Draghi: restare alla guida del governo o dimettersi. L’ex governatore della Bce si è rotto i coglioni dello stato dell’arte. Ogni minuto, un casotto. Ogni giorno, una sceneggiata. Ogni settimana, un rospo da ingoiare. A partire dal centrodestra: non sta né in cielo né in terra che tre partiti completamente diversi, di cui due al governo e l’altro all’opposizione, chiedano di andare tutti insieme, come tre porcellini, a battere cassa a Palazzo Chigi. Coerenza e dea ragione impongono che Draghi riceva da parte Fratelli d’Italia, che è serenamente all'opposizione.
salvini meloni e berlusconi in conferenza stampa
Ma l’ira di Mariopio divampa quando è costretto, per il clima di rissa continua all’interno dell’esecutivo, a non rispettare gli impegni. Ogni anno i governi dell'Eurozona devono spedire a Bruxelles la loro bozza di manovra per l'esame della Commissione europea. Devono farlo entro il 15 ottobre. Alla faccia di un premier celebrato per la sua capacità e autorevolezza (“Whatever it takes”), anche quest’anno l’Italia si è fatta riconoscere e l’ha squadernato a babbo morto.
angela merkel mario draghi. 5
Una volta che mette piede a Bruxelles, colui che dovrebbe prendere il bastone di comando dell’Unione Europea lasciato da Angela Merkel è costretto a subire sarcasmi e critiche e insofferenze dell’establishment: ‘’Caro Mario, come mai hai in maggioranza un partito come la Lega che vota a favore del muro anti-migranti proposto dai sovranisti polacchi?’’.
manfred weber
Aggiungere la demenza senile di Berlusconi che al presidente del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber, ha avuto la faccia tosta di raccomandargli Salvini e Meloni: “Garantisco io!”. E Weber gli ha riso in faccia: “Garantisci chi? Quelli che stanno con Vox e Marine Le Pen e votano per il muro anti-migranti dei polacchi?”
licia ronzulli
Altra emicrania per il premier arriva da ciò che è rimasto di Forza Italia, ormai spaccata come una mela: la corrente draghiana Brunetta-Carfagna-Gelmini contro la corrente sovranista-salviniana Ronzulli-Tajani-Mulè. Lo stesso Gianni Letta non sopporta più i soprusi telefonici della zarina di Berlusconi, Licia Ronzulli. E buona parte del partito non segue più l’arzillo vecchietto di Arcore.
GELMINI CARFAGNA BRUNETTA
Lo stato lacero-confuso dell’esecutivo tocca il suo apice all’interno della Lega dove tutti vogliono un chiarimento politico: siamo un partito di lotta o di governo? I legaioli di vecchio conio hanno recapitato il pizzino: "Caro Salvini, non puoi sparare in alto e poi andare da Draghi che ti molla l’ossicino: non sei più credibile. Anche su Quota 100 l’elettorato della Lega ti segue più". E il “Tossico del Papeete” trema all’idea di un congresso anticipato entro la fine dell’anno: sa che rischia di finire in minoranza e di perdere la leadership.
roberto garofoli foto di bacco (1)
Ma la volontà di Draghi di mandare tutti all’inferno viene montata anche dal suo staff, a partire dal sottosegretario Roberto Garofoli che gestisce il piano PNRR, su cui Mariopio ha messo la sua faccia in sede europea. Una gestione che sta accusando preoccupanti inefficienze e ritardi per cui il premier sta scaldando il suo consigliere giuridico Marco D’Alberti, considerato “fratello minore” di Sabino Cassese, che potrebbe presto prendere la poltrona di Garofoli.
marco d'alberti
Al solo pensiero di aver caldeggiato la nomina dei tre ministri tecnici (Colao, Cingolani, Giovannini), Draghi sbatte il cranio sulla scrivania. Oggi o domani sarà convocato a Palazzo Chigi il ministro Enrico Giovannini, alla testa di un dicastero nevralgico per il PNRR, il ministero delle Infrastrutture. Il ciarliero ministro continua a rilasciare interviste sui massimi sistemi ma non è stato ancora insediato il comitato speciale del Consiglio dei lavori pubblici (29 membri), indispensabile per l'approvazione dei progetti connessi al PNRR (oltre alla mancata individuazione di un amministratore delegato per Anas).
Il mancato raggiungimento degli obiettivi del piano concordato con l'Ue, comporta la mancata erogazione delle prossime rate, dopo i primi 25 miliardi corrisposti all'Italia come anticipo. A questo punto, Giovannini rischia di essere “commissariato” da qualche uomo di Draghi.
ENRICO GIOVANNINI
L’ultimo rospo che ha mandato fuori di testa Mariopio si chiama Monte dei Paschi di Siena. Il responsabile del naufragio della trattativa con Unicredit si chiama Alessandro Rivera. Il premier accusa il direttore generale del Mef, che si è fatto affiancare da ben due advisor (Bank of America), di essersi fatto infinocchiare da Andrea Orcel, un banchiere abilissimo che convinse all’epoca Mps ad acquisire a peso d’oro Antoveneta, da cui iniziò il declino della banca di Siena.
ALESSANDRO RIVERA
E l’Italia è obbligata dall’Antitrust europeo a uscire da Mps entro l’anno. Chi non vuole uscire, malgrado le pressanti richieste del Mef, è l’amministratore delegato del Monte dei Paschi, Guido Bastianini, nominato nel 2020 in quota 5Stelle, contrario alla svendita a Unicredit e sostenitore di una “banca di stato”. Draghi è rimasto senza parole quando ha letto la gioia di Enrico Letta, neo eletto a Siena: “Il Tesoro ha fatto bene, Unicredit voleva una svendita”.
Ormai basta spostare una sedia a Palazzo Chigi che sbuca fuori un guaio, una figuraccia, un rospone da ingoiare. E Draghi, come dicono a Parigi, si è davvero rotto i cojoni.
Andrea Orcel ROBERTO cingolani mario draghi vittorio colao GUIDO BASTIANINI