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    OK, IL “PRICE CAP” È GIUSTO – IN EUROPA QUALCOSA SI STA MUOVENDO SUL TETTO AL PREZZO DEL GAS. A SBLOCCARE LA SITUAZIONE È UN SMS ARRIVATO SUI TELEFONI DEI MINISTRI DELL’ENERGIA EUROPEI. A FIRMARLO È IL VICECANCELLIERE E MINISTRO DELL'ECONOMIA TEDESCO ROBERT HABECK CHE HA DATO, PER LA PRIMA VOLTA, LA DISPONIBILITÀ DELLA GERMANIA A DISCUTERE – E CON LA GERMANIA CHE APRE, L’OLANDA NON POTRÀ CHE SEGUIRLA…


     
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    Annalisa Cuzzocrea per "La Stampa"

     

    ROBERT HABECK E LA DURATA DELLA DOCCIA ROBERT HABECK E LA DURATA DELLA DOCCIA

    È un messaggino arrivato sui telefonini dei ministri dell'Energia europei, a sbloccare la discussione sul tetto al prezzo del gas. O almeno a dare una speranza - a chi come l'Italia ci lavora - di poter vincere sull'ostilità olandese e calmierare finalmente il costo delle bollette che sta mettendo in ginocchio famiglie e imprese.

     

    A firmare quel messaggio è il vicecancelliere e ministro dell'Economia e della protezione climatica tedesco Robert Habeck che ha dato, per la prima volta, la disponibilità della Germania a discutere non solo del "decoupling", la separazione del costo del gas da quello dell'energia elettrica (ora indicizzata). Ma anche, finalmente, del famoso "price cap". L'unico strumento che secondo il governo Draghi sarebbe in grado di raggiungere un doppio risultato: avere bollette meno pesanti e pagare meno la Russia. Finanziare quindi meno la sua guerra di aggressione all'Ucraina.

     

    A Palazzo Chigi, ieri, il ministro Roberto Cingolani - riunito con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli e con il ministro dell'Economia Daniele Franco - ripeteva entusiasta: «È un risultato storico». Il titolare del ministero per la Transizione ecologica è convinto che il 7 settembre, quando lo staff tecnico italiano incontrerà quello olandese per illustrare la proposta, le cose potranno finalmente cambiare perché anche l'Olanda comincia a sentire gli impatti della crisi sulla sua economia. E perché, spiegano fonti di governo, «se la Germania arriva, l'Olanda non può che seguire».

    mario draghi roberto cingolani mario draghi roberto cingolani

     

    Le speranze sono quindi riposte nel vertice straordinario dei ministri dell'Energia del 9 settembre. «Ci siamo resi conto della situazione stoccaggi che sta andando bene - ha fatto sapere la Germania - parliamo di price cap e di decoupling». Un'apertura, non ancora un risultato, ma che significherebbe poter calmierare significativamente il prezzo che guarda caso, proprio ieri, alla Borsa di Amsterdam è sceso a 282 euro per megawattora. «Potremmo collegare il price cap al prezzo del gas naturale liquido - spiegava ieri Cingolani durante il vertice - o stabilire una percentuale al prezzo del Ttf, l'indice del gas naturale al mercato di Amsterdam.

     

    MEME SUI PREZZI DEL GAS MEME SUI PREZZI DEL GAS

    Si tratterebbe di una misura temporanea, che consenta di superare questo periodo e che non dia un segnale distopico contro il mercato. Ma insomma, se da 300 passi a 200 euro al megawattora, è comunque sette volte di più di quello che costava un anno fa». In realtà, quello che l'Italia chiederà è di bloccare il costo a 150, 160 euro, con la convinzione che Vladimir Putin non reagirà di certo «chiudendo i rubinetti», come dice di temere la stessa presidente della commissione europea Ursula von der Leyen. «Siamo riusciti nell'opera straordinaria di farci fornire meno gas dalla Russia continuando a pagarla nello stesso modo - è lo sfogo di Cingolani - a questo è servito il mercato di Amsterdam, di fatto un mercatino di scambio del gas russo grazie al quale l'Europa ha continuato a pagare 1 miliardo e mezzo di euro al giorno a Mosca».

     

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    La strategia di Palazzo Chigi quindi non cambia. Per ora, nessuno nel governo vuole sentir parlare di razionamenti perché la dipendenza italiana da Mosca sarebbe passata dal 40 al 18 per cento. «I tubi sono pieni», dice Cingolani, «e ci sono altri 5 miliardi di metri cubi di gas naturale liquido» che però hanno bisogno del rigassificatore a Piombino, «l'unico posto dove si può fare in questo momento».

     

    ROBERT HABECK OLAF SCHOLZ CHRISTIAN LINDNER ROBERT HABECK OLAF SCHOLZ CHRISTIAN LINDNER

    Questo consentirebbe già nel primo quadrimestre del 2023 di far passare la dipendenza italiana dal gas russo dal 18 al 10 per cento. La logica è: se dei razionamenti dovranno essere fatti, saranno minori di quel che dovranno fare Paesi più dipendenti come la Germania. Basteranno i risparmi energetici programmati, sempre se tutto andrà davvero secondo piani già saltati troppe volte. Anche perché, il primo partito a non volere quel rigassificatore è Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni.

     

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    Nel frattempo però ci sono le aziende che stanno chiudendo adesso, per i costi esorbitanti dell'energia. Il decreto che dovrebbe arrivare in loro soccorso e che qualcuno sperava si potesse fare già questa settimana, non sarà pronto prima della prossima. Spiegano a Palazzo Chigi che a non essere stata prorogata nel quarto trimestre «è stata la misura sui crediti di imposta, prima riservata alle aziende gasivore ed energivore e poi estesa a quelle con un consumo al di sopra di una certa soglia».

     

    Robert Habeck Robert Habeck

    Per prorogare quegli aiuti, servono ben più dei 3,4 miliardi stanziati nel terzo trimestre, «perché il prezzo è salito e l'ultimo periodo dell'anno è sempre più costoso». Così il governo è in cerca di quelli che definisce «margini fiscali» per agire. Risparmi, risorse, che consentano di evitare quel che alcuni partiti chiedono - intasando il centralino di Palazzo Chigi - ma che Mario Draghi non ha alcuna intenzione di concedere: un nuovo scostamento di Bilancio.

     

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    Non sarà così. Quel che il premier aspetta è di sapere, a fine mese, quanto verrà recuperato dalla tassa sugli extragettiti, perché ad agosto la norma era stata rafforzata con una sanzione, per chi non paga in tempo, che arriva fino al 60% in più dell'importo dovuto. Fatti bene i conti, si potrà capire che tipo di intervento mettere in campo. Ma l'intenzione del premier è di lasciare al suo successore una «situazione ordinata, un Paese solido e non un euro in più di deficit».

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