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    “SE NON AVESSI SMESSO DI DROGARMI A 26 ANNI SAREI MORTO” - OMAR PEDRINI, 54ENNE EX LEADER DEI TIMORIA, CONFESSA LA SUA DIPENDENZA DALLE DROGHE PESANTI CHE LO STAVA PORTANDO ALLA TOMBA DOPO AVER SCOPERTO UNA MALATTIA CONGENITA AL CUORE: “NACQUE MIO FIGLIO PABLO, CAPII CHE MI SAREI DOVUTO DARE UNA REGOLATA E PARTII PER L’INDIA IN UN ASHRAM” – “CAPODANNO? HO VISTO PER LA NONA VOLTA “PULP FICTION”, MA AVREI PREFERITO…” - VIDEO


     
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    Matteo Crucco per www.corriere.it

     

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    «A Capodanno ho visto per la nona volta Pulp Fiction, ma avrei preferito fare altro»: com’è dura la vita del rocker in pandemia, se c’è una categoria con cui il virus si è accanito più di altri, questa è quella dei musicisti. Come Omar Pedrini: aveva due concerti in Sardegna, spazzate via da Omicron: «Viviamo di serate- racconta l’ex leader dei Timoria- il danno economico è stato grande.

     

    Con tutto l’amore che ho per Papa Francesco, non capisco perché i 20000 all’aperto per la messa di Natale ( o gli affollatissimi impianti sciistici) sì e i concerti in piazza no: se l’emergenza è grande, come sembra, forse sarebbe stato meglio chiudere tutto. E invece paghiamo sempre e soltanto noi artisti».

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    Se il presente dice dunque male a Omar, il passato prossimo e remoto arridono invece assai a questo 54enne artista poliedrico e dal cuore matto. Che con i Timoria, appunto, ha scritto una pagina gloriosa del rock italiano negli anni 90, simboleggiata dal loro album capolavoro, Viaggio senza vento, anno 1993: il cantante lo ha celebrato prima con un tour («dovevano essere 8 date, sono diventate 49») e ora con un libro. Scritto con Federico Scarioni, corredato da belle foto e illustrazioni, «Dentro un viaggio senza vento» racconta prima i concerti e poi quel disco a raggi x. Evidentemente passato di generazione in generazione «visto che ai live ho visto un sacco di ventenni». Perché? «E’ la storia di un giovane in crisi, tra delusioni amorose e dipendenze tossiche, ma che non si arrende alla sconfitta. Valeva nel 1993, vale oggi».

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    Joe si chiamava quel ragazzo, sorta di rinnovato Tommy degli Who, un concept album (parola antica…) dove Joe ovviamente era Omar. Che si salvò per un pelo: «Nacque mio figlio Pablo, capii che mi sarei dovuto dare una regolata con le droghe pesanti e partii per l’India in un ashram». Un giro di vite che gli sarebbe servito poi quando una malattia congenita gli avrebbe sconquassato il cuore, a partire dal 2002, con diverse ricadute, l’ultima l’estate scorsa: «Sì, se non avessi smesso in tempo sarei morto».

     

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    E al microfono di questa avventura avrebbe rivoluto Francesco Renga che lasciò i Timoria per inseguire lidi più nazionalpopolari nel 1998: «Doveva andare a Sanremo e ha detto no. Ne aveva già fatti otto però, forse a uno poteva rinunciare. Siamo come i Beatles, l’unica rockband italiana a non aver fatto una reunion...» scherza un po’ amaro Omar.

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    Sanremo già, i Timoria furono tra i primi a cantarci nel 1991, tra i giovani, quando tra le rockband non usava e anzi era visto come un sacrilegio: «Sì, abbiamo aperto una strada». Un’autostrada vista la vittoria dei Måneskin. A Pedrini piacciono: «Non fanno parte di una scena, come ai nostri tempi, ma hanno la responsabilità morale di diventarne i leader. E se intanto sotto l’albero i ragazzini han chiesto una chitarra elettrica al posto di un telefonino, è sicuramente merito loro».

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