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    CASO CERCIELLO: “ELDER È CAPACE DI INTENDERE E DI VOLERE E PUÒ AFFRONTARE IL PROCESSO” – LA PERIZIA DISPOSTA DAL TRIBUNALE DI ROMA HA DICHIARATO CHE UNO DEGLI AMERICANI ACCUSATI DELL’OMICIDIO DEL CARABINIERE, NONOSTANTE IL DISTURBO BORDERLINE E ANTISOCIALE, E' PERFETTAMENTE IMPUTABILE - IN AULA ASCOLTATO ANCHE ANDREA VARRIALE, IN SERVIZIO CON LA VITTIMA LA NOTTE DEL DELITTO: "CI SIAMO QUALIFICATI COME CARABINIERI, POI L’AGGRESSIONE"...


     
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    Ester Palma per roma.corriere.it

     

    FINNEGAN LEE ELDER FINNEGAN LEE ELDER

    Finnegan Lee Elder, il 19enne americano accusato col connazionale e coetaneo Gabriel Natale Hjorth dell’omicidio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega accoltellato il 26 luglio 2019 in Prati, era «capace di intendere o di volere al momento del fatto» ed è per questo «imputabile».

     

    Queste le conclusioni della perizia psichiatrica disposta dalla prima corte d’assise di Roma nei confronti dell’ imputato, i cui difensori puntavano a dimostrare la seminfermità mentale del ragazzo al momento dell’omicidio.

     

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    Ma per i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, che hanno effettuato l’accertamento peritale, Elder «presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress». Per i due esperti, tuttavia, «non è possibile dimostrare che la condizione mentale accertata nell’Elder abbia compromesso la libera capacità decisionale del soggetto al momento del compimento dell’azione delittuosa: riteniamo perciò che il signore sia da valutarsi come imputabile all’epoca dei fatti», hanno concluso.

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    Nella stessa udienza in prima corte d’assise è stato sentito Andrea Varriale, collega del vicebrigadiere assassinato e in servizio con lui quella notte: «Quando ci siamo trovati frontalmente ai due, abbiamo tirato fuori il tesserino dicendo di essere carabinieri. Dopo esserci qualificati ho rimesso in tasca il tesserino. Mario ha fatto la stessa cosa. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre. Loro non avevano nulla in mano. Noi andavamo ad identificare due persone. I due ci hanno immediatamente aggrediti. Io fui preso al petto da Natale e rotolammo in terra. Allo stesso tempo sentivo Cerciello che urlava “Fermati, carabinieri”, aveva una tono di voce provato».

     

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    L’aggressione, stando al testimone, è durata poca secondi. Varriale, ad un certo punto, racconta di aver preferito lasciare andare il suo aggressore: «Ero preoccupato per le urla di Mario. Alzo la testa e lo vedo in piedi che mi dice “mi hanno accoltellato” e poi crolla a terra. Mi sono tolto la maglietta e ho provato a tamponare la ferita, ma il sangue usciva a fiotti.

     

    Ho chiamato subito la centrale per chiedere un‘ambulanza», conclude Varriale. «Dovevamo avere la pistola ma per praticità e perché dobbiamo mimetizzarci l’arma è più un problema, non mi è mai capitato di doverla usare nel servizio nella zona della movida».

     

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    Così il carabiniere ha spiegato il motivo per cui lui e il collega erano sprovvisti della pistola d’ordinanza. «La Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo - ha aggiunto - dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarci. La zona di competenza era quella che va da Ponte Sisto, Campo de Fiori e piazza Trilussa, il turno era dalla mezzanotte alle sei di mattina. Giravamo a piedi perché i controlli sull’attività di spaccio non si possono fare in auto». Cerciello era in servizio nella Capitale, nella stazione di Campo de’ Fiori di piazza Farnese, ma era originario di Somma Vesuviana.

     

     

    MARIO CERCIELLO REGA E ANDREA VARRIALE MARIO CERCIELLO REGA E ANDREA VARRIALE

    Il processo è stato aggiornato a domani per il malore che ha colto, durante l’udienza, il suocero di Cerciello che è stato trasportato in ambulanza in ospedale per accertamenti. L’uomo è svenuto mentre in aula veniva fatto ascoltare l’audio della drammatica chiamata di richiesta di soccorsi da parte di Varriale subito dopo il ferimento di Cerciello. In aula era presente anche la vedova del militare, Rosa Maria Esilio, che aveva sposato il carabiniere ucciso solo 44 giorni prima che fosse ucciso.

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