Andrea Galli per il "Corriere della Sera"
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Omicidio e non suicidio, nel percorso dei famigliari tra dolore e segreti scoperti soltanto sui giornali. Suicidio e non omicidio, nel percorso logico-razionale degli investigatori. La morte a Milano, un anno fa, del professor Stefano Ansaldi, ginecologo napoletano rinvenuto agonizzante alle 18.06 del 19 dicembre sotto un ponteggio di via Macchi, non sarebbe più un mistero nonostante la mancata archiviazione del caso.
E nello schema, certo passibile di inediti ma poco probabili elementi aggiuntivi, di un gesto volontario contro se stesso - il coltello da cucina, la letale ferita alla gola -, si collocano le coordinate dell'ultimo viaggio di Ansaldi, 65 anni, una moglie, due figli, troppi debiti, alcune fidanzate, un animo buono, un professionista adorato dalle pazienti, un tormento interiore divorante da marito, papà, cattolico.
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E anche se privo perfino di monetine, con la carta di credito quasi svuotata da un'amante comunque da lui autorizzata, nonché con l'ennesimo prestito supplicato in giro celando l'imbarazzo, quel giorno il medico cambiò il biglietto del treno Napoli-Milano (già comprato in precedenza con andata e ritorno) dall'Economy alla Business, attraversò l'Italia solitario nella comoda carrozza vuota, silenzioso tranne le chiamate ai cari per sentire le loro voci e congedarsi; scese in stazione Centrale, vagò nei dintorni, buttò il cellulare, capitò sotto il ponteggio, un breve tunnel al buio, aprì la 24 ore che conteneva chiavi di casa, biscotti e caricatori del telefonino, ed estrasse la lama che appoggiò sul collo causando tre tagli paralleli.
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Un'azione esitante oppure preparatoria al successivo taglio definitivo compiuto da sinistra verso destra, e impossibile da arginare per i soccorritori, chiamati dai passanti che videro quel corpo di un metro e ottantacinque precipitare sul marciapiede. Sono quasi duecento le telecamere pubbliche e private, pressoché tutte quelle a disposizione e pure oltre, scelte dai carabinieri per esaminare i filmati.
E in quei filmati mai Ansaldi camminava in compagnia, mai incrociava un estraneo che lo pedinava, mai avanzava in direzione d'una persona in attesa; e mai l'analisi dei palazzi lungo il confuso tragitto ha isolato figure criminali collegate al professore e collegabili dopo la ricostruzione della sua esistenza. L'esistenza di un uomo che inseguiva ovunque denaro per appianare le perdite e tornare a fatturare con l'apertura di una nuova clinica, e che aveva organizzato l'arrivo a Milano per incontrare un ipotetico mediatore che divenisse ipotetico garante di un ipotetico massiccio finanziamento.
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Però qui in città non incrociò proprio nessuno, e a maggior ragione se diretto a un appuntamento in una geografia metropolitana ignota, allora non avrebbe abbandonato il cellulare, che non risultò esser stato rubato. Nell'elaborazione di un lutto così improvviso e tragico, gravato ancor più da un'eco mediatica straziante per una famiglia di profonda riservatezza, i parenti ripetono che servono maggiori sforzi, che ulteriori piste vanno battute in Italia e all'estero.
La Procura e il Comando provinciale, non certo per esercizio retorico, proseguono le analisi, ma anziché una classica scena del crimine con una vittima e un assassino latitante, via Macchi appare ormai la scena conclusiva di un'opprimente angoscia individuale. La presenza di un biglietto anche di ritorno andrebbe letta a ritroso: Ansaldi aveva previsto una tappa a Milano per appunto innescare, tramite quell'eventuale mediatore, un miracoloso rilancio economico. Ma forse era lui, il professore, ad essersi convinto di un'imminente conclusione dei problemi, ad aver investito un'errata fiducia in sconosciuti che avevano prospettato significative somme.
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A meno che, al contrario, il quadro poggiava su delle basi però prive della concretezza e della futuribilità auspicate da Ansaldi, il quale infatti chiamò una persona a Chiasso - l'ipoteco mediatore -, annullando un presunto appuntamento. In quelle 24 ore mancavano spazzolino da denti e biancheria intima, a conferma che il ginecologo non avrebbe dovuto pernottare. Nei carabinieri del Nucleo investigativo, l'immediata analisi aveva generato un dubbio, legato ai guanti in lattice indossati da Ansaldi.
Una misura per celare impronte in uno scambio di oggetti quali banconote, armi, documenti? Una misura per affrontare un avversario col rischio di una degenerazione? No: il dottore era malato di Covid, e i guanti furono una precauzione per non infettare il prossimo. L'ultima telefonata ricevuta, dopo aver bevuto un caffè, informò Ansaldi che la carta di credito in possesso dell'amante aveva superato, in un negozio di vestiti, la soglia massima di disponibilità. Poi il cellulare, forse fatto cadere in un tombino come una sigaretta consumata, smise di funzionare.
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