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    COME SE FOSSE ONTANI (LUIGI) – “AMO ROMA ANCHE SE SPINGE ALL'AUTODISTRUZIONE. QUESTA E’ UNA CITTA’ DI TRIBU’ CHE NESSUNO RIESCE A DOMARE. CI SONO QUELLE DEI TAXISTI, DEGLI SPAZZINI, DEGLI INFERMIERI... DA SEMPRE, NESSUNO PUÒ ORDINARE LORO CIÒ CHE GLI VIENE COMANDATO DA CHI NON SA GOVERNARE - UNA CITTÀ PIENA DI TESORI IN CUI VIGE INDIFFERENZA PER GLI ARTISTI"


     
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    ontani ontani

    Lorenzo Madaro per la Repubblica – Roma

     

    Ame piace Roma nella sua tribalità. Questa è una città di tribù, che la conducono con le loro forze e le loro debolezze. Queste tribù non riesce a domarle nessuno: ci sono, per esempio, quelle dei taxisti, degli spazzini, degli infermieri e degli addetti alle buche. Da sempre, nessuno può ordinare loro ciò che gli viene comandato da chi non sa governare».

     

    Così Luigi Ontani nella sua casa-studio (che fu di Antonio Canova) circondato dall' aurea senza tempo dei suoi capolavori coloratissimi. Il tema dell' autoritratto e di un attraversamento consapevole, concettuale e insieme ironico, della storia dell' arte e delle sue iconografie, l' hanno reso uno dei maestri di riferimento dell' arte contemporanea internazionale. E Roma è sempre stata al centro del suo immaginario.

     

    luigi ontani luigi ontani

    Arriva in città nel 1970. Roma è la sua torre di avvistamento verso l' arte e il mondo: Bali, India e tutte le altre terre lontane scoperte nei viaggi degli ultimi cinquant' anni.

    «Sono arrivato qui da Vergato, in provincia di Bologna, il giorno del mio ventisettesimo compleanno, era il 24 novembre. Amo questa città e sono molto legato al centro storico, ma al mio arrivo ho abitato per qualche mese a Monte Mario. La mia casa confinava con il manicomio, dove feci liberare un aspirante attore che era venuto da Bologna per amore dei film di Federico Fellini. Dichiarai - ma non era così - di essere suo parente».

    luigi ontani eloisa reverie vezzosi luigi ontani eloisa reverie vezzosi

     

    Si è poi trasferito nel centro storico e da quel momento non si è più mosso dal Tridente.

    «Tutte le mie storie a Roma sono state condotte dal mio desiderio di scoperta e, soprattutto, nei primi tempi lo stupore mi ha spinto a conoscere e a girovagare moltissimo. Mi sono trasferito in via Angelo Brunetti, poi ho avuto tre studi in via Margutta e dopodiché sono andato in un' altra via per poi arrivare qui, nel luogo del mio destino, lo studio di Antonio Canova».

     

    È un grande tempio in cui si stratificano le fotografie ritoccate dei tableaux vivant degli anni Settanta, nelle quali c' è lei nelle pose di San Sebastiano e Leonardo da Vinci, le ceramiche, gli acquerelli, i mobili provenienti da diverse geografie e i libri, tanti, posizionati con ordine. È qui che lei vive e lavora.

    «Non mi piace dividere le due cose, il mio respiro è extra quotidiano e extra professionale. Mi piace vivere dove mi esprimo e poi grazie a questi spazi ho avuto la possibilità di posizionare tante mie cose che erano in magazzino».

     

    Pino Pascali era morto da due anni. Ma Roma al suo arrivo era ancora un epicentro pieno dell' energia viva degli artisti, c' erano Schifano, Festa, ma anche Carmelo Bene, Gino De Dominicis e un maestro come Giorgio De Chirico.

    «Prima era talmente facile stare insieme, non esistevano gli appuntamenti, ma alla fine ci si vedeva in orari specifici, all' ora di pranzo o all' ora di cena. Le giornate erano cadenzate da ritmi molto ordinati. Con Gino De Dominicis c' è stato un rapporto intenso, anche se nel parlare dei cari estinti si rischia sempre di deformare qualcosa. Con lui il tempo era un ritmo di respiro, bastava arrivare all' alba e quindi viaggiavamo molto nella notte. Poi tutto è cambiato intorno al 1977».

     

    Cosa accadde?

    «Non c' era più la convivialità. Poi sono venuti gli artisti che non riflettevano in un certo modo sul linguaggio, cambiò tutto, non c' era più quel clima dei primi anni.

     

    luigi ontani luigi ontani

    Per me comunque Roma è sempre stato un luogo speciale, ricordo che negli anni Settanta trascorrevo settimane intere in giro, c' erano dei luoghi che mi hanno attratto moltissimo sin da quel periodo e che ho sempre nella mia mente. Per esempio il museo delle Terme di Diocleziano, il museo Doria Pamphili e il museo Etrusco a Valle Giulia.

     

    E poi ci sono le biblioteche, che all' inizio frequentavo molto: l' Angelica accanto a Sant' Agostino, l' Hertziana a via Gregoriana e la biblioteca della musica, dove mi davano anche dei suggerimenti per le colonne sonore per i miei tableaux vivant, in cui ho espresso il mio evidente narcisismo, alla base di tutto il mio lavoro, utile a collocarmi fuori dal tempo».

     

    Lo ha fatto anche in uno dei suoi lavori più iconici, l' autoritratto vestito da Cristoforo Colombo. Era il 1975.

    luigi ontani a l attico di fabio sargentini luigi ontani a l attico di fabio sargentini

    «Con Fabio (Sargentini, ndr) abbiamo fatto un viaggio memorabile a New York, in aereo.

    Io ero vestito da Cristoforo Colombo, il costume me lo fece Marco Tirelli che allora era un ragazzino. New York è un luogo molto familiare, ci ho vissuto molto e ho dialogato con molti artisti, soprattutto con la scena dei performer conosciuti durante i miei primi viaggi. Lì ho fatto tante mostre, ma non mi interessa il modo che gli americani hanno nel trattare l' arte, hanno sempre un' idea di peso del prodotto che a me non interessa, anche se è chiaro che vivo pure io d' arte. Roma era più ricca di presenze artistiche che New York, ma non lo dico per campanilismo, visto che, tra l' altro, non sono romano».

     

    luigi ontani pierluigi celli con la moglie luigi ontani pierluigi celli con la moglie

    Quasi tutti i nomi degli anni Sessanta e Settanta oggi non ci sono più.

    «Questa città spinge all' autodistruzione. Non ho mai fumato né bevuto, non mi è mai piaciuto, ma naturalmente rispetto molto la libertà di tutti. Quando la mattina vado a bere il cappuccino al Caffè Rosati in piazza del Popolo, mi sento un sopravvissuto».

     

    E oggi com' è Roma? Nel clima tribale di cui mi ha accennato c' è anche il disordine e la sporcizia che dilagano nelle strade e nelle piazze.

    «No, Roma è sempre stata sporca».

     

    Ora un po' di più?

    ONTANI ONTANI

    «No, non credo a questo. E poi Roma è affascinante anche in questa sua costante deriva. È una città piena di tesori, musei e in cui vige indifferenza per gli artisti. Poi è chiaro che è cambiato tutto. Un tempo vedevo il poeta Sandro Penna che attraversava Piazza Navona, incontravo Alberto Arbasino o altri nomi, come Mario Praz e personaggi in giro per le gallerie, come la Galleria dell' Oca di Luisa Laureati e Giuliano Briganti.

    Vivo Roma come oblio, ma non in senso negativo, per me questo è un termine stimolante, così come ambiguità».

     

    E gli artisti di oggi?

    «A Roma frequento e stimo molto Elisabetta Benassi, artista di grande coerenza, mi piace il lavoro di Felice Levini e di Fiorella Rizzo, figura esemplare di come qualcuno possa avere una bella storia».

     

    In città e altrove si dibatte molto sul Macro Asilo, il suo curatore Giorgio De Finis lo intende come spazio aperto a tutti gli artisti e democratico verso il pubblico.

    « Avevo un' idea più precisa qualche giorno fa, ma adesso mi sfugge. Ma l' arte e gli artisti - perché sono persone, prima di tutto - non so se abbiano bisogno di assistenti sociali. E, mi chiedo, davvero chiunque è autorizzato ad andare lì e fare qualcosa? Io comunque sono un dilettante, non devo difendere nessun sapere, ma la cultura e l' arte sono sempre state una conquista e non lo dico in senso eroico».

     

    Cosa si augura per il futuro dell' arte?

    «Che viva. Viva l' arte!». 

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