Giuseppe Alberto Falci per www.huffingtonpost.it
BASE RIFORMISTA MILANO
Al solo sentire la parola “Open”, vale a dire la cassaforte renziana finita sotto i riflettori della Procura di Firenze, Assunta Tartaglione, 49 anni, già parlamentare Pd, già segreteria dei democratici in Campania nella stagione di massimo splendore del renzismo, di nero vestita, si allontana dal cronista con queste parole: “Mi perdoni, ma ho un cliente che mi chiede una cosa”. Insomma, gira i tacchi e se ne va. E così farà anche Piero De Luca, enfant prodige del deluchismo, suo padre è “O Sceriffo” Vincenzo: “E basta, mica faccio il magistrato”.
BASE RIFORMISTA MILANO
Open è la parola che nessuna osa pronunciare. E che in tanti, molti, preferiscono far finta di non conoscere. “Ma cosa c’entra con questa iniziativa”, osserva sorridendo sotto i baffi il signor Gianni, incravattato e ben vestito. E poi c’è chi, come un giovanissimo, forse amante del tennis, si serve di una vecchia battuta dell’allenatore José Mourinho. “Io di Open conosco solo il libro di André Agassi, un grande, un grandissimo”.
Il fatto però è che qui a Milano, alla Società Umanitaria, a pochi passi del Tribunale, si tiene la seconda assemblea di Base Riformista, la corrente che risponde al verbo di Lorenzo Guerini e Luca Lotti. Insomma, la corrente dei renziani che sono rimasti dentro al Nazareno. Già, questa sarebbe una notizia. Qui però la notizia che piomba su questa assemblea dove si discorre dei massimi sistemi, dalla Brexit al sovranismo, al rapporto del Pd con i 5 stelle, è un’altra: l’inchiesta dei magistrati di Firenze su quella fondazione che ha alimentato la stagione renziana.
BASE RIFORMISTA MILANO
Ci sarebbero, almeno stando alle carte, bancomat o carte credito utilizzate da esponenti di punta del renzismo, e poi ancora consulenze saldate all’avvocato Alberto Bianchi che poi sarebbero diventate dei finanziamenti alla fondazione. E poi ancora la famosa casa di Renzi, gli 800 mila euro versati a Open dall’ex parlamentare di Scelta Civica, Gianfranco Librandi, il ruolo dell’imprenditore Marco Carrai, il petalo più grande del Giglio magico, anche lui indagato. Giù giù fino a Luca Lotti, il quale non è indagato, ma aveva un ruolo di peso all’interno della Fondazione.
E questa è la patria del “lottismo”, che è stata una sfumatura del renzismo, e che ora si ritrova ad essere una sfumatura del Pd. E allora ecco Luca Lotti, detto “Lampadina”, in camicia, maglioncino e sneakers. Il sorriso non è quello dei vecchi tempi quando sbucava da Palazzo Chigi e sfuggiva attraversando le vie della Capitale, con passo lesto, senza rilasciare una parola ai cronisti.
luca lotti raduna la corrente base riformista 1
Si diceva fosse il braccio destro del fiorentino, insomma il “Gianni Letta” di Matteo Renzi. Questa volta, però, il “Luha” è costretto a fermarsi, a rispondere alle domande dei cronisti. Il tutto senza prima aver scolpito una premessa sull’importanza dell’iniziativa: “Crediamo in un Pd a vocazione maggioritaria, che può fare un’azione fondamentale per questo Paese. Vogliamo far capire che nel Pd si può e si deve fare politica. Base riformista ha voglia di dialogare con tutte le anime che nel Pd portano avanti questa idea”.
Va da sé, che un attimo dopo arriva la domanda sull’innominabile “Open”. A questo punto Lotti cambia espressione e sciorina il solito ritornello: “Non ho mai avuto la percezione che Open fosse un partito nel partito. La fondazione, come tantissime altre fondazioni politiche, nello Statuto spiegava cosa faceva: chi donava soldi alla fondazione lo sapeva, tutto trasparente, tutto scritto, con bonifici online, tracciabile, come le spese. Per me faceva l’attività di una fondazione”.
lotti renzi
Ed è un ritornello che ripetono il portavoce delle “Br” Andrea Romano, il capogruppo al Senato, Andrea Marcucci. In prima fila Lorenzo Guerini, oggi ministro della Difesa, è fermo, immobile, ascolta e qualche volta annuisce. Poi a un certo punto spunta Beppe Fioroni, un tempo il leader della corrente dei “popolari”. Qui non saranno “popolari” ma democristiani sì. A proposito, Fioroni, cosa ne pensa dell’inchiesta su “Open”? Replica da dissimulatore: “Complicato, ma non ho seguito bene”.
La platea è attenta, forse un po’ troppo over 60, forse c’è un po’ troppo ceto politico, fra parlamentari ed ex parlamentari. Si scorge tra gli altri l’ex Sel, Titti Di Salvo, ormai da tempo approdata al Pd. Eppure, l’unica certezza resta l’assioma da rispettare: mai osare parlare di Matteo Renzi, né tanto meno di “Open”. Non esiste l’ex sindaco di Firenze, non esiste l’inchiesta. Appunto: Open chi?
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