Pierluigi Panza per "www.corriere.it"
'il trionfo del tempo e del disinganno' al festival di salisburgo 4
Händel compose il suo primo oratorio su commissione e su libretto del cardinale Benedetto Pamphilj, figlio di Camillo che aveva abbandonato la porpora poiché sedotto da Olimpia Aldobrandini. Non sappiamo quanto incise questo affaire famigliare sulla scrittura del libretto di “Il trionfo del Tempo e del Disinganno” che debuttò a Roma nell’estate del 1708, ma il regista canadese Robert Carsen, che splendidamente ha messo in scena questa disputa mitologica per il centenario del Festival di Salisburgo, parla di una “presa di coscienza interna delle diverse fasi della vita da parte del cardinale”.
La Bellezza è rappresentata dalla vincitrice di un ipotetico concorso per reginette (è la bella, e assai nella parte, soprano svizzero Regula Muhlemann) e subito come scritturata da un suo “agente”, il Piacere, interpretato con brillantezza da Cecilia Bartoli. La Bellezza di rosso vestita (come il Piacere) entra nell’universo delle starlette: riprese tv, copertine di “Elle”, feste dove pippa cocaina, uomini… ma il Disinganno, una specie di filosofo esistenzialista alla Cacciari interpretato da Lawrence Zazzo, e il Tempo, con un lungo abito sacerdotale che allude al librettista ministro della Chiesa (Charles Workman), la insidiano come due Savonarola spuntando dalle tenebre del palco e le mostrano in anticipo la fine di ogni umana esistenza: ricordati che devi morire.
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Tra luci della ribalta, timer che lampeggiano scandendo i secondi e le immagini del rapido appassir dei fiori, Carsen mette in scena una fabulistica contesa ben diretta con pianissimi e accelerazioni da Gianluca Capuano alla guida di Les Musiciens du Prince-Monaco. Il fondale è sovente un grande specchio nel quale si riflettono tutti gli spettatori in sala - trovata che Carsen aveva già sperimentato nel finale del “Don Giovanni” alla Scala.
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Pian piano, la povera ragazza non può che prendere distacco da Piacere che con l’aria più famosa, “Lascia la spina, cogli la rosa” poi riciclata nel “Rinaldo” tre anni dopo) la invita a godere dei momentanei piaceri. Mesta, sola, la Bellezza sfiorisce e pian piano arretra nel retropalco completamente spoglio, delabré fino addirittura uscire dal portone di ferro sul fondo dal quale entrano i camion per portar via gli attrezzi di scena.
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