AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE DAI LORO…
vladimir putin in versione hitler
1. PUTIN, "COME QUANDO SI TENTÒ DI UCCIDERE HITLER": VOCI SU COLONNELLI E OLIGARCHI RUSSI. RIVOLTA IN VISTA?
Anche se Vladimir Putin riuscisse a impossessarsi dell'Ucraina, la Russia dovrebbe fare i conti con altre difficoltà. D'altronde dal punto di vista militare le cose non stanno andando proprio come il presidente russo immaginava. La resistenza ucraina si è dimostrata tale, da riuscire a evitare il peggio anche nella sua capitale: Kiev.
Il timore che aleggia al Cremlino è quello che il Giornale definisce "un boomerang". "E se la guerra che ha scatenato si trasformasse in un gigantesco boomerang proprio contro di lui? Vediamo perché questa ipotesi può rivelarsi fondata", si legge.
Il popolo ucraino è infatti filoccidentale, con un esercito valido e soprattutto un popolo motivato a difendersi. Da qui il presentimento che sconfiggere un Paese così chiederà enormi costi. Punto secondo: esiste un fronte interno russo, che ha più facce.
KATERINA PESKOVA, FIGLIA DEL PORTAVOCE DI PUTIN, CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA
Se infatti siamo abituati a vedere quella popolare, la stessa che sta scendendo in piazza per fermare la guerra. Ce n'è anche una che si mostra molto meno: è quella degli oligarchi. Quest'ultimi, che si sono arricchi grazie allo Zar, temono ora di perdere tutto a causa delle sanzioni.
Non è escluso che di fronte a una situazione di questo tipo Putin scelga di giocarsi il tutto per tutto e trascinare la Russia in una guerra non più fredda con l'Occidente. "A quel punto - conclude Il Giornale - si aprirebbe l'incubo di una tragedia europea, l'imprevisto più orribile come nel 1914 dopo Sarajevo. A meno che qualche colonnello od oligarca russo non decida che il rischio è troppo alto: e come nel 1944 si tentò di uccidere Hitler, lo stesso potrà esser fatto con Putin".
2 - IL DISSENSO (NASCOSTO) DI MOSCA ARTISTI E SPORTIVI IN RIVOLTA
Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
russia, arresti dei manifestanti contro la guerra 9
Ventidue chilometri a piedi, con il naso all'insù, e ne abbiamo visti cinque. Il primo è dove meno te lo aspetti. A due passi dal Cremlino. Gli agenti in tenuta anti sommossa che alle undici del mattino parlottano in mezzo ai turisti sulla piazza Rossa, ricevono una comunicazione via walkie-talkie e scattano come un sol uomo.
Percorrono trecento metri e si fermano davanti a una palazzina in ristrutturazione sulla Nikolskaya, la via dell'Università umanistica e del teatro Bolshoi. Alzano lo sguardo. Nottetempo, qualcuno è salito all'ultimo piano e alla finestra di un ufficio vuoto ha attaccato un cartello con la scritta rossa «No alla guerra».
SOFIA ABRAMOVICH CONTRO LA GUERRA IN UCRAINA
Rapido consulto via radio. Non può restare, va rimosso. Gli agenti forzano l'ingresso e salgono. L'ultimo è verso sera. Sull'ampio marciapiede della Tverskaja, un giovane dall'aria mite estrae dal giaccone impermeabile il suo cartello, in realtà un foglio A4 di bloc-notes, con la solita scritta, questa volta fatta con un pennarello azzurro. Qualche passante distoglie l'attenzione dallo shopping e gli scatta una foto con il cellulare. Neppure il tempo di avvicinarlo, e arrivano gli uomini in divisa.
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Uno gli chiede i documenti, l'altro lo perquisisce, il terzo intanto chiama un blindato. Dalla sortita improvvisa alla partenza dell'automezzo con sopra il ragazzo sono passati appena tre minuti. In piazza Pushkin era prevista una piccola manifestazione. Alle diciannove, l'intera zona è circondata dai blindati. Gli agenti sono ovunque, in attesa che qualcuno si muova. È come il gatto con il topo.
Ad azione minima, corrisponde una reazione fulminea. Prima due giovani studentesse, che estraggono un ventaglio sul quale è disegnata una sigla. Circondate, isolate dai loro compagni, sollevate di peso. Poi altre due donne, che si ribellano. «Non ce ne andiamo, siamo qui perché abbiamo diritto alla libertà di parola». Qualcuno intona un coro. Gli agenti agitano i manganelli e spingono via i giornalisti che riprendono la scena con i telefonini. Le due manifestanti vengono portate via a braccia. Una di loro piange. Così vanno le cose, nella Russia di oggi.
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L'immagine che il Cremlino desidera è quella di un Paese compatto dietro al suo condottiero. Qualche crepa invece si intravede, qualche paura affiora, anche se ancora non mischiata con il dissenso. È difficile spiegare altrimenti il fatto che il 25 febbraio, il giorno dopo l'invasione, siano stati ritirati 111 miliardi di rubli in contante dalle banche di tutta la Russia. Una cifra record, che ha superato quella raggiunta due anni fa all'inizio della pandemia. La gente fa scorta di denaro. Come se non avesse fiducia nel futuro e in chi lo dovrebbe determinare. Ieri c'erano lunghe code ai bancomat dei centri commerciali Vegas e Avia Park.
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Non nel centro sfavillante della capitale, ma nei quartieri periferici. La banca Tinkoff ha invitato gli utenti di Mosca e San Pietroburgo a non utilizzare gli sportelli automatici. Oggi, domenica, Sberbank terrà aperte le sue filiali. «Per garantire un servizio migliore alla nostra clientela», si legge in un comunicato. Certe situazioni, e l'importanza che hanno parole e valori che noi diamo per scontati, forse non si comprendono davvero finché non si assiste in presenza a scene come quelle viste ieri sera a Pushkin Park.
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La semplice esibizione di quella scritta, che è l'equivalente nostrano della bandiera Arcobaleno può costare molto caro. Si finisce in carcere per nulla, anche solo per un post su Facebook nel quale si invita i propri compatrioti a scendere in piazza. L'unico spiraglio di visibilità per il dissenso si apre sui social, con l'appello sottoscritto da 110 artisti e scienziati, con le dichiarazioni e i post di personaggi famosi.
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La figlia dell'oligarca Roman Abramovich scrive «No alla guerra», seguita dalla figlia di Dmitry Peskov, il portavoce di Vladimir Putin peraltro incaricato di spiegare come le persone arrestate «non abbiano alcun diritto a manifestare». Protesta il popolare conduttore televisivo Ivan Urgant.
«Non può esserci una guerra giusta», scrive Maxim Galkin, cabarettista in grande ascesa nonché marito della cantante Alla Pugacheva, la più amata dai russi. Protesta la cantante rock Zemfira, si dimette Elena Kovalskaya, direttrice del teatro statale Meyerhold: «È impossibile lavorare per un assassino e riscuotere uno stipendio da lui»; cancella i suoi show il rapper Oxxxymiron, «non me la sento di salire sul palco mentre sta accadendo questo orrore». Non c'è nulla di gratis, ci saranno comunque conseguenze, pesanti. Per il tennista moscovita Andrey Rublev, che alla fine del suo match scrive «No alla guerra» sulla telecamera.
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Per il pivot georgiano Tornike Shengelia, che annuncia di lasciare il Cska Mosca perché non se la sente più di giocare nella squadra dell'esercito russo. E non importa se poco dopo viene convinto a una mezza smentita, e se le eredi Abramovich e Peskov cancellano i loro post. Sono tutte persone che non avevano mai parlato in precedenza, silenti o fedeli alla linea. Come si dice spesso, è il gesto che conta. Infatti, il Comitato statale per l'editoria e i mezzi di comunicazione ha subito intimato a dieci testate indipendenti di cancellare dai loro siti e dalle trasmissioni le notizie prese da «fonti nemiche o erronee». È più di un avvertimento, è un ultimatum. Qualcosa si muove, in Russia. Ma nessuno lo deve sapere.
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