Valerio Piccioni per la Gazzetta dello Sport
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Succede spesso quando i pm si occupano di sport e in particolare di calcio: immaginiamo percorsi giudiziari rapidissimi, carte che viaggiano con il tempo di una mail dalle procure della repubblica alla sede federale, sentenze sportive confezionate nel giro di poche settimane. Poi le istruttorie si allungano, la montagna dei verdetti partorisce il topolino e arrivederci al prossimo scandalo.
Diamoci dunque una calmata: una cosa è restare impressionati da quelle cattive abitudini con cui diversi club (non tutti) hanno preso da anni a inventare acrobazie contabili in bilancio per ammorbidire l'impietosa fotografia di conti spaventosamente in rosso. O riflettere su alcune risultanze dell'istruttoria di Torino, peraltro tuttora in corso.
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Un'altra è pensare di risolvere con un colpo di bacchetta magica, una stangata di qua una stangatina di là, problemi annosi, un vero e proprio groviglio di interessi che, nonostante i buoni propositi, non si sbroglia mai. La miscela fra plusvalenze sospette, mostruose "commissioni", impotenza delle istituzioni, produce una panna andata a male che inquina sempre di più il sistema. Gravina ha ragione: niente processi sommari. E una giustizia sportiva non può ordinare intercettazioni o prendersi i computer degli indagati per studiare cosa c'è dentro.
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Diciamoci la verità: senza la procura della repubblica di Torino, pure gli allarmi lanciati da Covisoc e Consob (non si sa chi ha cominciato prima, ma questo non cambia i termini della questione), avrebbero probabilmente sbattuto sul muro della "soggettività" della valutazione del calciatore. Semmai ci si potrebbe chiedere:non sarebbe ora che anche i club si interrogassero su malsane abitudini che sembrano andare sempre sull'autostrada di costi folli e non sostenibili? Dunque ok, niente processi sommari, non si può andare a duecento all'ora perché si va a sbattere. Ma magari a cinquanta sì.
Certe volte la procura federale sembra accendere il motore proprio a fatica. Per dire, Perugia, l'esame di Suarez. Attenzione, l'esempio che facciamo è anche a tutela della Juve e del sacrosanto diritto di essere considerata a un certo punto definitivamente scagionata. Noi non riusciamo a capire perché, a richieste di rinvio a giudizio già pronunciate, a udienza preliminare già ampiamente aperta, non si riesca a capire se il famoso fascicolo aperto già nel settembre 2020 dal procuratore federale Giuseppe Chiné sia stato aperto e chiuso (nel senso di archiviato) o se il lavoro debba ancora cominciare. La domanda è: si devono aspettare le carte o l'esito delle richieste di rinvio a giudizio?
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Naturalmente un pm o una procura che indaga conta anche sul segreto istruttorio. E la legge 280, che regola i rapporti fra giustizia ordinaria e sportiva (quella che dice: c'è solo il Tar dopo tutti i gradi di giudizio "sportivi"), non mette un punto chiaro sui tempi e le modalità della collaborazione fra le due giustizie.
Però non dobbiamo dimenticare che spesso, in questi anni, sportivo e penale si sono parlati, costruendo un rapporto che ha consentito di bruciare i tempi per non tenere sotto scacco il sistema. Che viene lasciato in pasto a un ritornello che rischia di durare mesi: c'è un colpevole, ce ne sono tanti, o non ce ne sono? Insomma, siamo sempre lì. Sentenze che fanno a pugni fra loro, discrezionalità gigantesca affidata ai giudici, attendismi certe volte incomprensibili: questa giustizia sportiva ha qualcosa che non va.
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