Flavia Perina per “la Stampa”
MELONI E ORBAN
La battaglia di ieri contro il comunismo è vinta, la nuova lotta contro l' immigrazione è altrettanto dura ma si vincerà perché «siamo minoranza nelle istituzioni ma maggioranza tra il popolo». Il premier ungherese Victor Orban incanta la platea della festa romana di Fratelli d' Italia disegnando un ideale filo di continuità tra il vecchio anticomunismo e la nuova narrazione sovranista, la difesa dei confini, il rifiuto dell' ideologia dell' integrazione.
Parte con l' omaggio a una canzone di Leo Valeriano sulla rivolta del '56 contro i sovietici, «Avanti ragazzi di Buda», molto cara alla destra, che tutti cantano in coro. Chiude disegnando uno zero con le dita a cerchio: in Ungheria «zero immigrazione musulmana, da noi c' è una società cristiana».
Abile, e anche furbo. Il premier ungherese evita accuratamente i temi che lo metterebbero in contraddizione con i suoi ospiti. Lui ha votato la Commissione di Ursula Von der Leyen, loro no. Lui continua a vedere la Russia come un nemico, molti di loro subiscono il fascino di Vladimir Putin. Lui è nel Partito Popolare Europeo con Angela Merkel, loro stanno con gli euroscettici del gruppo dei Conservatori. Dettagli.
ORBAN E MELONI
L'intervento di Orban guarda altrove, e soprattutto a qualificarsi come campione della «Seconda Europa», quella che è fuori dai grandi flussi migratori e vuole rimanerci senza farsi carico dei problemi altrui. È il ruolo a cui aspirava anche Matteo Salvini, e forse anche per questo Orban lo cita quasi di malavoglia, raccontando del «contropiede» che nel 2015 ha fatto avanzare il sovranismo austriaco, bavarese e italiano. «Poi, se ho capito bene, in Italia il governo è stato separato dal popolo»: una frase che susciterà l' ira di Luigi Di Maio, forse irritato dall' implicita accusa di aver gestito un' operazione di Palazzo, forse desideroso di collaudare il suo nuovo ruolo di ministro degli Esteri. «È ingerenza, parli del suo popolo, non del nostro».
MELONI ORBAN
Orban ha confermato che l' Ungheria non si farà carico in nessun caso di quote di redistribuzione di migranti. È disposta ad aiutare i Paesi nei guai con un contributo ai rimpatri, niente di più. Non crede alla possibilità di integrare persone che arrivano da altre culture. Non crede che fuggano dalla guerra. Anche all' epoca della crisi siriana, dice, nove su dieci erano migranti economici. Teme la cosiddetta sostituzione etnica, stranieri usati per sostituire i bambini che non nascono più («e per me il bambino nato è sempre meglio del migrante»).
Teme pure la sostituzione politica: migranti che conquistano la cittadinanza e diventano elettori, ovviamente di sinistra. La sua opposizione alla «Prima Europa», quella che accetta la sfida multietnica, è radicale e identitaria: il problema non è il lavoro, il welfare, la concorrenza salariale, ma la cultura, la religione, l'alterità rispetto al «modello cristiano» che il Continente dovrebbe difendere.
MELONI E ORBAN
«Sono più a destra di voi», dice alla platea. E forse è pure vero. La frase di incoraggiamento che consegna alla standing ovation della sala, invitando a combattere anche se gli avversari sono «grandi, ricchi, ben organizzati», è sulla stessa lunghezza d'onda delle t-shirt dannunziane che tantissimi indossano: «Fidati di Dio e tieni asciutta la tua polvere da sparo», dice Orban scandendo le parole.
Trattasi di Oliver Cromwell, non del Vate, ma fa lo stesso. Scrosciano gli applausi. Tutti ricorderanno quell' incitamento anziché il veloce passaggio con cui il premier ha dato atto alla signora Von der Leyen di essersi mossa nella direzione giusta istituendo un portfolio che mette insieme immigrazione e difesa dello stile di vita del Vecchio Continente. Una mediazione fra le due Europe forse è possibile, o addirittura si sta già realizzando, ma se si vuole elettrizzare il pubblico è meglio sorvolare.